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Mario Draghi e Boris Johnson

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Il G20 è lo strumento. Che per funzionare e produrre effetti ha bisogno di un ingrediente essenziale: la leadership. E dunque è questo il vero banco di prova per SuperMario Draghi: una riunione straordinaria dei venti Paesi più industrializzati e che comprende i grandi player mondiali per capire fino a dove può arrivare la sua capacità di gestire i nodi che la geopolitica produce. A partire dall’ultimo: il disastro afghano e le sue conseguenze in termini umani, economici, di sicurezza.

A qualcuno può apparire un obiettivo fin troppo ambizioso, tanto da diventare velleitario. Eppure la sfida sta proprio qui. Nella capacità del presidente del Consiglio italiano, forte di una indiscutibile autorevolezza che può trasformarsi in ascendente politico a tutto campo, di giocare le partite più importanti col ruolo di protagonista.

CHANCE PER L’ITALIA

Si tratta di una condizione del tutto peculiare non per lui, che ha affrontato e vinto il braccio di ferro sulla sussistenza della moneta unica: un traguardo che ha messo in sicurezza le economie dei più importanti Stati europei e le relative condizioni di stabilità interna. Ma quanto per l’Italia, poco incline com’è stata finora a svolgere ruoli così importanti e soprattutto di responsabilità, preferendo accucciarsi all’ombra del classico duopolio Germania-Francia, puntando al massimo a lucrare le migliori condizioni in appoggio talvolta all’una o talvolta all’altra.

E invece le vicende internazionali – ma qualcuno pomposamente potrebbe dire addirittura la Storia – mettono adesso l’Italia e il suo premier nelle condizioni di poter incidere sugli equilibri complessivi del rapporto Est-Ovest, con risvolti non solo politici e sociali ma perfino di equilibrio nell’intelligence e militari.

Le telefonate con Boris Johnson e Vladimir Putin per sondare la disponibilità a un G20 straordinario, di cui l’Italia ha la guida annuale, dedicato all’Afghanistan e alla scelta di dialogare o no con la teocrazia coranica e la sharia dei Taliban, sono l’estrinsecazione di questa potenzialità che non è malriposta ambizione o insensata fuga dalla realtà, bensì l’opposto: è sinonimo di concretezza e di capacità di accollarsi i compiti e i doveri per affrontare le emergenze.

Nell’intervista al Tg1 di sere fa, Draghi ha messo in chiaro quali sono gli obiettivi per cui lavora l’Italia e il suo governo: garanzie per i profughi, donne in particolare, che scappano dai mitra dei fondamentalisti; lotta alle possibili infiltrazioni terroristiche e impegno per la sicurezza; difesa dei diritti umani: forse le democrazie non si esportano ma quei diritti sono validi e vanno salvaguardati in ogni parte del globo.

SCELTA OBBLIGATA

Il G20 si farà, preceduto dalla riunione del G7 di cui la Gran Bretagna ha il turno di presidenza. I risultati potranno essere impalpabili, come avvenuto in tante altre occasioni, oppure potrà scoccare una scintilla di resipiscenza che consenta di intavolare trattative efficaci per risultati che inevitabilmente non saranno immediati.

Però, considerando quanto detto, il punto vero è capire come Draghi proverà a dare le carte, è quanto peserà il retropensiero che aleggerà sul mega tavolo della riunione: e cioè che se in questa fase non riesce lui, nessun altro appare in grado di prendere il testimone.

Le tradizionali leadership europee sono sbiadite. La Cancelliera Angela Merkel, che ha detto forse le parole più lucide sulla tragedia di Kabul e sull’harakiri dell’Occidente che ha provocato una conseguente e devastante perdita di credibilità, è alla fine della sua esperienza politica e il successore Armin Lashet deve, diciamo così, farsi le ossa. Il presidente francese Emmanuel Macron naviga in acque tempestose con sondaggi allarmanti al punto tale che c’è chi arriva a mettere in dubbio la sua rielezione.

Al dunque il dato difficilmente contestabile è che se non riesce Draghi allo stato non si intravede chi possa sostituirlo nel compito improbo che attende l’Europa.

I FRONTI APERTI

Sintetizzando. Sull’Afghanistan bisogna intervenire subito perché se non ora quando. Con il corollario che dice se non SuperMario chi. Non solo. Se il capo del governo italiano riesce a cogliere anche solo un barlume di successo, i riverberi potrebbero diventare decisivi su altri scacchieri al tempo stesso caldi e maggiormente importanti per l’Italia. Il pensiero va obbligatoriamente al versante mediterraneo dell’Africa, dove gli interessi italiani in Egitto, Tunisia e soprattutto Libia, sono fondamentali: anche qui sia sotto il profilo economico sia per le garanzie di sicurezza contro le infiltrazioni terroristiche. Insomma, vale la pena di tentare, e Draghi non è tipo da lasciarsi sfuggire le occasioni.

A ben vedere, un simile stato di cose dovrebbe inorgoglire un Paese che spesso ha recitato una parte da comprimario (o addirittura da semplice comparsa) sulla messa a punto dei dossier più delicati. Invece, in modo a tratti davvero disarmante, succede che il confronto politico si snodi lungo percorsi di strumentalità, vedi il dibattito sui corridoi umanitari e le polemiche innescate da Matteo Salvini sull’accoglimento o meno e in che misura dei profughi afghani.

È forse c’è anche un altro aspetto da considerare. SuperMario gioca la partita nel modo più consono alle sue capacità sugli scacchieri più significativi del mondo, e ci si aspetterebbe che la squadra di governo sia all’altezza di un impegno così gravoso, dia cioè la sensazione di essere l’equipaggio giusto per il Timoniere che si ritrova.

LE MINE VAGANTI

Purtroppo non sempre l’immagine che viene proiettata all’esterno è di questo tipo. Ci sono incertezze di ministri che lasciano il segno, tipo il rave di Viterbo andato avanti una settimana prima che il titolare dell’Interno, la ministra Lamorgese, riuscisse a venirne a capo. Oppure gli atteggiamenti del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, da molti ritenuti non in linea con l’immagine che deve trasmettere un uomo di governo quando arriva un’emergenza che impatta sull’Italia. Draghi ha sempre esaltato il lavoro di squadra. C’è da sperare che la squadra abbia l’avvedutezza di prenderne coscienza.


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Fabio Grandinetti

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