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Gli uffici della Regione Lombardia

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La Lombardia si prende a schiaffi da sola sulle mascherine “a pannolino”. Politica, industria e università vengono infatti prese simbolicamente a sberle dalla Procura milanese che definisce un “fallimentare risultato dell’investimento di denaro pubblico” la fornitura di 18 milioni di mascherine “a pannolino” prodotte dalla Fippi spa e comprate dalla Regione nel marzo 2020 per 8,1 milioni più Iva.

Il manrovescio dei pubblici ministeri arriva tra l’altro dopo l’archiviazione dell’indagine sulla presunta frode in pubbliche forniture: non ci sono reati secondo i magistrati ordinari, che però hanno girato il fascicolo ai loro colleghi della Corte dei Conti per verificare se ci sia un danno erariale.

Devono cioè accertare se l’acquisto dell’Amministrazione Fontana sia stato tanto sconsiderato da poter imporre al governatore lombardo la restituzione di parte o tutti i milioni spesi per i prodotti della famiglia Guarnerio. Ma mentre le toghe contabili analizzano i documenti, la frase della Procura colpisce duro tutto il sistema lombardo: nell’autunno del 2020 infatti la Lombardia veniva travolta dalla pandemia da Sars-Cov-2 e si trovava sprovvista di ogni genere di materiale. Soprattutto le mascherine, diventate introvabili in pochissimo tempo.

Ecco allora l’idea della giunta Fontana: convertiamo la produzione di un’azienda produttrice di pannolini per crearci da soli tutti i dispositivi di protezione che ci servono. E per raggiungere il risultato la squadra di Fontana, e in particolare il suo assessore all’Ambiente Raffaele Cattaneo, trova l’accordo con la Fippi spa di Rho, nel milanese, e con il Politecnico di Milano guidato da Ferruccio Resta.

Insieme elaborano quella che verrà poi chiamata appunto “mascherina a pannolino”, un oggetto che avrebbe dovuto risolvere i problemi di rifornimento della Lombardia. All’università già il primo aprile il coordinatore del progetto Polimask Giuseppe Sala (omonimo del sindaco meneghino) annuncia dalle colonne del Corriere della Sera che in una settimana con la Fippi e altre aziende la Lombardia potrà produrre da sola i sei milioni di mascherine al giorno che le servono.

Iniziano però subito i problemi. Ai primi di aprile l’Istituto superiore di sanità si mette di traverso: mancano tutti i test per dichiararle affidabili per l’uso intraospedaliero, sostengono da Roma, «la burocrazia di Roma ci impedisce di utilizzarle», risponde Fontana che prende carta e penna e chiede al premier Conte di sbloccare la pratica. La Fippi sarebbe in grado da sola di produrre 1 milione di pezzi al giorno, abbastanza per colmare almeno in parte i giganteschi buchi nella catena di rifornimenti.

E il governatore lombardo tanto fa e tanto dice che alla fine l’approvazione arriva: «Davvero una bella notizia. Un responso che attendevamo da giorni. È infatti arrivato venerdì 3 aprile pomeriggio il parere favorevole da parte dell’Istituto Superiore della sanità (Iss) alla produzione, all’utilizzo e alla commercializzazione delle mascherine prodotte in Lombardia dall’azienda Fippi di Rho in provincia di Milano» esultava Fontana. Era insomma l’ultimo passo di un successo per la praticità lombarda che in dieci giorni era riuscita a riconvertire la produzione di un’azienda storica facendo squadra tra politica, università e industria.

Poi però è arrivato un esposto presentato da Adl Cobas Lombardia, e che aveva portato i militari del Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza ad acquisire documenti e informazioni presso gli uffici della Fippi, della Regione e pure nella sede di Aria spa, la centrale degli acquisti del Pirellone. Perché secondo quanto riportato poi anche dalla stampa le mascherine Fippi erano impossibili da usare proprio per gli operatori sanitari per i quali in teoria erano state progettate in fretta e furia. Era l’inizio di maggio 2020 e nell’indagine coordinata dai pm Mauro Clerici e Giordano Baggio venivano ipotizzati i reati di truffa e frode nelle pubbliche forniture a carico di ignoti.

In questi giorni però tutto si è risolto in una bolla di sapone, perché da quelle investigazioni non è emersa alcuna responsabilità penale. L’unico dubbio resta il possibile danno erariale, visto che la metà delle mascherine era alla fine rimasta nei magazzini. Ma questo argomento sarà oggetto di uno dei tanti fascicoli aperti dalla Corte dei conti sulle spese della Lombardia nel 2020 e che nei prossimi mesi e anni forniranno altro materiale per ricostruire l’anno orribile della regione.

Un’operazione che servirà a scrivere con più completezza la cronaca della gestione della pandemia da cui l’Italia ancora fatica ad uscire: nel susseguirsi degli eventi infatti sono ancora tantissimi gli episodi o le decisioni su come spendere i soldi pubblici su cui manca una parola definitiva. Un libro amplissimo che al momento non si può ancora definire libro nero, semmai libro grigio per l’opacità che ancora avvolge molte situazioni.


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