MATERA – Tutte la conoscevano come “Mama”, un fonema suadente e dolce, dietro il quale si annidava la brutalità dello sfruttamento della prostituzione. Il suo vero nome pare fosse Uyi Joyce, ed era una delle maîtresse ufficiali nel ghetto de “La Felandina” a Bernalda. Lei probabilmente conosce la vera storia della morte di Eris Petty Stone, un altro nome evocativo hollywoodiano, dietro il quale si celava però la sofferenza di una donna di 28 anni, nigeriana di Lagos, madre di tre figli, che cercava di aiutare vendendo a malincuore il proprio corpo.
Quella donna non c’è più dal 7 agosto 2019, arsa viva in un incendio dalla dubbia origine, scoppiato all’alba in un capannone del ghetto. Joyce, anche il vero nome ha l’assonanza di un succo di frutta, era una caporale del sesso, colei che gestiva il meretricio, le schiave del campo. L’organizzazione pare fosse piuttosto precisa, perché Mama si era premurata di allestire un’alcova ben attrezzata, per accogliere clienti anche esterni al ghetto; era proprio questo, il cuore degli affari con le schiave. Il covo del sesso sporco e mercificato, era contraddistinto da un cartello altrettanto volgare e lercio: “The food is ready”, ovvero “Il cibo è pronto”. Non un succulento piatto della tradizione africana, ma la vita e il corpo di una donna, dato in pasto alla cieca brutalità umana.
Petty era stata avviluppata dal giro di Mama, tanto che in un video di cui il Quotidiano è in possesso, si ode distintamente la maîtresse urlare parole concitate nella sua lingua, all’indirizzo di un’altra donna, proprio mentre Petty sta bruciando nel fuoco, sulla cui origine regna ancora il più assoluto mistero. Mama stava perdendo un elemento della sua squadra, o forse sapeva di quel litigio furibondo che Petty aveva avuto con uno dei caporali del campo la sera prima. La 28enne nigeriana voleva lasciare La Felandina, non ce la faceva più, ma per qualcuno questa sua determinazione risultava un insulto, un’inaudita insubordinazione.
Sarebbe interessante per gli inquirenti rintracciare Uyi Joyce, alias Mama, magari per farsi spiegare il suo ruolo nel ghetto e la situazione della povera Petty.
Poi c’era Jennifer, un’altra maîtresse di 36 anni. Anche lei controllava e gestiva le donne nella quotidianità. È lei che, come ricostruito da Emma Barbaro in “Terre di frontiera”, direzionava i flussi e garantiva che la “cassa comune” venisse rimpinguata. «La sua mobilità sociale e, di converso, il suo riscatto passano attraverso lo sfruttamento di altre donne. -spiega Barbaro- Sul braccio sinistro ha un tatuaggio scolorito, segno inequivocabile di un’appartenenza antica». Lei, secondo una fonte interna al ghetto che vuole restare anonima, fissava il prezzo, smistava le ragazze e si assicurava che non si ribellassero mai.
Una regola, quest’ultima, a cui evidentemente era sfuggita Petty. Jennifer era una Vikings, e sapeva come muoversi. Lei ha controllato la tratta per circa dieci mesi a La Felandina; aveva la sola baracca in cui c’era elettricità grazie a un generatore di corrente autonomo. A Metaponto aveva il supporto di Alì, un sudanese “protettore”, che l’ha aiutata a mettere su l’attività. Ma lei è forte da sola, teneva i contatti diretti con le ragazze, anche con una rete social, cambiando spesso account di Facebook, per controllare e smistare indisturbata le ragazze anche da lì. Poi usava app come Telegram e godeva di una certa autonomia gestionale. Un intero mondo sudicio, che gravitava tra le baracche de La Felandina, sul quale in onore della memoria di Eris Petty Stone, si dovrebbe fare luce, con nomi e cognomi di caporali e maîtresse. Tutti potrebbero avere un ruolo nella morte di questa giovane donna madre di 3 figli. L’incidente col fuoco, potrebbe essere solo una sovrastruttura della verità.
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