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Sappiamo sempre poco o nulla del dolore sommerso dell’anima che spinge al gesto estremo di cercare la morte, per una, per cento, per mille ragioni continua importanti, drammatiche, invisibili.
Come si può accettare che un giovane di ventotto anni, annientato dalla disperazione, privato del suo lavoro in fabbrica da pochi mesi, possa darsi fuoco per mettere fine a un’esistenza forse pensata e vissuta come un fallimento, come una sconfitta?
Un atto devastante di autoviolenza, dal quale ha trovato la forza di tentare la salvezza, di spegnere le fiamme sul suo corpo…Interrogarci sulle cause di un disagio dilagante che è esistenziale e sociale, in una società impoverita di valori, di attenzioni per l’altro, impoverita dalla solitudine, magari camuffata da un benessere di facciata, può aiutarci a ritrovare il senso, il significato di una vita spezzata da un dolore senza speranza.
Abbiamo il dovere di ascoltare i silenzi parlanti dei tanti ragazzi che si lasciano morire dentro, convinti di non avere più nessuna ragione per esistere, di non trovare una mano a cui aggrapparsi per non affondare nell’angoscia che li travolge. Assediati da dubbi e paure, proviamo a rivolgere lo sguardo verso la grotta di Betlemme, è lì che il nostro smarrimento potrà trovare calore e conforto. Senza una speranza non è Natale.
*piscologa forense
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