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POTENZA – Sono le donne, le madri, le insegnanti. Non hanno ruoli politici, ma guardano i loro figli partire. Parlano tutti i giorni con questi giovani delusi, sconfortati, già con la valigia in mano. E pur non avendone il potere, sentono che ora più che mai è necessario agire.

Possibile che nessuno guardi al lavoro come all’emergenza principale? Possibile che, da madri, dobbiamo rassegnarci a non rivederli più?

Nasce così questa ricerca su “Vita, lavoro e aspettative nella Basilicata della crisi”. A parlare sono i più deboli in questo mercato: i giovani e le donne. E a raccogliere i loro racconti sono le socie della Libera università delle donne, che da due anni parlano, si confrontano, raccolgono emozioni e dolore di chi questa terra l’ama ma si sente sempre più respinto.

«E’ un lavoro – spiega Adriana Salvia – che abbiamo fortemente voluto e per il quale ci siamo autofinanziate. Abbiamo creato dei gruppi di lavoro, ci siamo mosse sul campo. Un’indagine esplorativa basata su un campione forse ridotto di persone, ma che racconta la Basilicata di oggi. Ne è la fotografia. Testimonianze, interviste, questionari che raccontano di un grande amore per questa terra che troppo spesso viene sacrificato».

L’indagine è originale per questo: di analisi, dati e ricerche “serie” ne leggiamo ogni giorno «e anche noi – spiega Margherita Torrio – siamo partite da quelle dell’Istat per esempio, ma qui poi abbiamo deciso di toccare il “corpo vivo” del problema. Abbiamo voluto verificare davvero cosa accade sul nostro territorio».

E allora scopri che i ragazzi sono già assolutamente consapevoli di quello che li aspetta: per esempio quando scelgono direttamente le Facoltà scientifiche pensando di avere un futuro assicurato, scartando così a priori quelle umanistiche. Ma la realtà è comunque ancora più brutta, «perchè l’attuale delicata situazione li costringe a vedere come prospettiva unica l’emigrazione. Che per molti è una scelta dolorosa, anche se inevitabile. Eppure molti – e sono soprattutto le ragazze – vedono questo cambiamento di luogo in maniera positiva, anzi lo desiderano». E il perchè lo si capisce bene: le donne sanno già bene che qui il lavoro coincide con l’insicurezza: quella di vedersi licenziate appena arriva una gravidanza, quella di ritrovarsi sempre in coda nonostante si sia più brave e preparate.

«I ragazzi – dice Evelina Ricciardelli – hanno bisogno di presente. E noi vorremmo che proprio qui in Basilicata si formasse non il popolo dei forconi, ma quello delle idee. Loro si fidano di questa terra, ma non delle sue istituzioni e della politica, così come dei sindacati. Li abbiamo lasciati senza una rete questi ragazzi. Ed è per questo che noi vorremmo riuscire, attraverso questa ricerca, a risvegliare le coscienze. Per questo la porteremo anche al nuovo presidente Pittella, sperando che le politiche della giunta che verrà tengano conto delle indicazioni che questi ragazzi e queste donne, con le loro testimonianze danno».

Una ricerca che non vuole rimanere lettera morta, «che parte dalle studentesse – dice Tina Paggi – per arrivare alle donne di età più avanzata». E questo per offrire una visione chiara di quello che sta accadendo nel nostro ristretto mondo del lavoro. Quello dove le donne hanno paura di essere licenziate, perchè i loro contratti sono sempre quelli più deboli, spesso a tempo determinato, ancora più spesso a nero. «E dove ci sono orari di lavoro che difficilmente consentono la conciliazione. Quelle precarie lavorano dalle 10 alle 72 ore settimanali, le coraggiose giovani imprenditrici anche 77 ore settimanali. Con pericoli gravi per la loro salute. E spesso senza le relative soddisfazioni: perchè hanno sempre responsabilità maggiori rispetto a quelle per cui sono state assunte. Quindi basso inquadramento e stipendi sempre più bassi rispetto ai loro colleghi».

«E sono donne – ribadisce Antonella Coronato – che spesso hanno un’alta scolarizzazione. Il risultato è spesso quello che chi sceglie di far carriera deve rinunciare agli affetti familiari, le altre vengono espulse dal mercato del lavoro. E capire queste tendenze, capire per esempio che poche donne entrano nel mercato del lavoro attraverso i Centri per l’impiego, è fondamentale per cambiare rotta. E il nostro obiettivo è quello di trasformare le denunce in azioni concrete».

Perchè quello raccolto da queste donne «è il grido di aiuto silenzioso dei giovani – dice Nunzia Caiazzo – nei confronti di una società che non li ascolta». Ed è davvero arrivato il momento di ascoltarli.

a.giacummo@luedi.it

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