L'aula bunker della Fondazione Terina
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VIBO VALENTIA – L’ottava udienza dell’escussione del collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena al processo “Rinascita-Scott” ha visto l’esame essere condotto dal pm della Dda, Andrea Buzzelli. Con l’ormai iconico cappellino nero, “Vartòlo” ha iniziato col riferire sulla figura di Salvatore Morelli.
Salvatore Morelli, alias “L’americano”
È una delle figure principali del processo e sulla quale i racconti del pentito sono stati più approfonditi. Sangue misto vibonese-piscopisano, perché suo nonno Salvatore “era contabile della famiglia Pardea, quando era capo società Rosario Pardea, detto “u Ranisi”, era per questo legato al gruppo guidato da Michele Fiorillo, alias Zarrillo, Rosario Battaglia e Rosario Fiorillo detto “Pulcino”.
Coi piscopisani, ha commesso nei primi anni 2000, da minorenne, un tentato omicidio contro i fratelli Bellissimo di Soriano, commesso nei primi anni 2000”. Una carriera criminale “iniziata fin da giovanissimo” che l’ha portato ad un certo punto “a staccarsi dai Lo Bianco-Barba per avvicinarsi ad Andrea Mantella, fino a diventarne l’uomo più fidato dopo Scrugli”.
I danneggiamenti al nuovo teatro e alla scuola
L’Americano, Arena, lo indica quale mandante “per gli incendi del teatro nuovo a Vibo e per quelli della scuola professionale sita nei pressi di San Leoluca”. Danneggiamenti per i quali, Morelli “si serviva molto di Antonio Piccolo e Carmelo Chiarella. Nel 2016, come Pardea-Ranisi, ci distaccammo dai Lo Bianco-Barba e con lui, che era amico di Pardea, abbiamo commesso estorsioni, danneggiamenti, attività illecite senza interloquire con i Lo Bianco”. Nel nuovo gruppo, il pentito identifica l’imputato come figura di “vertice insieme a Pardea”, nonché “una persona molto furba, forse molto più di tutti gli altri”. Arena ha parlato anche di altri danneggiamenti “da eseguire a Santa Domenica di Ricadi dove non c’erano azionisti per compierli. Il nostro gruppo, per fare il favore a Giuseppe Prossomariti, nipote di Pasquale Quaranta, ha quindi incendiato una casa e due pullman”.
Lettere e proiettili
E Morelli, col pentito “aveva concordato una serie di tentate estorsioni. Mandavamo delle lettere minatorie con proiettili calibro 6,35 per mettersi a posto con gli amici e non andare dalle forze dell’ordine. E questo avvenne nei confronti dell’imprenditore Vincenzo Mirabello e di un’altra azienda. Io in quel frangente scrissi solo le missive utilizzando anche un computer dell’Eurospin, mentre Dominello e mio cugino Michele Carchedi dovevano solo recapitarle: da Mirabello andò il primo, e dall’altra ditta il secondo. Un’altra lettera fu recapitata ad un dentista”.
Le pistole puntate alla testa delle vittime
Ma Morelli “aveva giudicato questo modus operandi poco fruttuoso e pertanto aveva stabilito di far avvicinare le vittime per strada e puntare loro contro la pistola. Ma io mi sono tirato indietro. Gli altri invece no. Grazie all’utilizzo di una moto fornitaci da Michele Moscato, fratello del pentito, ci spostavamo per fare i danneggiamenti. Uno di questi fu all’illuminotecnica, vicino al bar Plav, e mi ricordo che in quel caso Michele Manco e MIchele Pugliese Carchedi hanno avvicinato il titolare, mentre si trovava in auto, puntandogli la pistola in testa e intimandogli di mettersi a posto con gli amici”.
Un’altra volta, vicino un centro scommesse, accanto al comando dei carabinieri di Vibo, di “un tale Potenza di San Gregorio, fu utilizzato lo stesso metodo. Questa tentata estorsione era stata concordata con Gregorio Gasparro che si era messo d’accordo con Morelli in quanto si riteneva il commerciante vincitore di un “Gratta e Vinci” e per questo aveva parecchia disponibilità economica. Pertanto, si era pensato che questi si sarebbe rivolto proprio a Gasparro il quale avrebbe chiuso le estorsione”.
I progetti di sparare ad avvocati e imprenditori
Morelli voleva commettere “azioni dimostrative anche nei confronti di professionisti, avvocati, che erano legati a certi ambienti”. Arena riferisce, sul punto, che l’Americano aveva in animo di “sparare all’avvocato Marco Talarico, pur senza colpirlo in pieno”.
L’estorsione al Tribeca
Un passaggio articolato della deposizione odierna del collaboratore di giustizia ha riguardato la vicenda dell’estorsione al noto locale sito nel centro storico di proprietà di Filippo Lascala, commesso nel 2017: “Lo conoscevo dagli anni ’90 – esordisce Arena – e sapevo che nel suo locale, che aveva appena aperto, non faceva sconti a mio cugino Domenico Camillò. Io gli di dissi che era un bravo ragazzo e che inoltre avrebbe potuto dagli qualche sponsor perché faceva molte feste. Quindi, glielo presentai dicendogli di avere un occhio di riguardo nei suoi confronti e se poteva concedergli qualche contributo per le feste in quanto avrebbe portato degli sponsor. In quella fase ci diede 100 euro”.
Ma anche in questo caso Salvatore Morelli avrebbe storto il naso ed il motivo, secondo il teste, è presto detto: “Lui fomentava Camillò ed altri in quanto il locale faceva un sacco di soldi e, pertanto, il titolare doveva darci più soldi. Io dissentivo in quanto conoscevo Lascala e perché, avendo appena aperto l’attività, aveva più debiti che altro; magari col tempo se ne sarebbe riparlato, ma già aveva un occhio di riguardo nei nostri confronti sulla scontistica per le consumazioni”.
La situazione è precipitata radicalmente quando Domenico Camillò iniziò a “fare frequentemente risse lì davanti e prendere a male parole anche lo stesso commerciante”. Pertanto Arena chiese conto ai suoi sodali e “l’incontro col gruppo avvenne nei pressi del cimitero; ma lì fui espressamente accusato di percepire denaro da questo Lascala e questo, secondo loro, era il motivo per cui non volevo che venisse toccato. Ma era falso. Io ho cercato di spiegare questo ragazzo era ben voluto da diversi soggetti legati alla massoneria e non volevo guastarmela con loro perché sapevo come sarebbe andata a finire. Pensavo, a quel punto, che la questione fosse sistemata e che quindi Lascala non sarebbe stato toccato”, ma poco tempo dopo si verificò il tentativo di incendio del soppalco del locale.
Arena andò “a parlarne con Michele Camillò il quale mi disse che a Domenico non gli era mai andata giù questa cosa di Lascala e, inoltre che Morelli lo fomentava, dandogli il via libera per commettere il danneggiamento”.
Prima dell’incendio, il teste racconta di aver parlato della questione col nonno di Domenico Camillò, Domenico cl. ’41, al quale riferì “che toccando quel locale si sarebbero toccati altri poteri: questo ragazzo infatti interessava alla famiglia Petrolo di Vibo e ad un noto esponente politico. Suo nonno, conoscendo questi personaggi e il loro potere in alcuni ambienti, si fece convinto che sarebbe stato meglio evitare attriti con questi soggetti. Ciò nonostante il danneggiamento fu fatto lo stesso e quindi loro non ne hanno voluto a che sapere”.
Gli altri danneggiamenti
Bartolomeo Arena ha parlato anche dell’episodio quando fu “lanciata una molotov al porticciolo di Tropea, alla presenza di Gregorio Niglia e Giuseppe Prossomariti, ma la bottiglia non prese fuoco”. Poi, sempre su mandato di “Morelli, so che hanno sparato contro un furgoncino a Bivona”; e sempre l’imputato “fu anche il mandante dell’incendio dei magazzini Eurospin commesso da Domenico Lo Bianco”. Non potevano non restare esenti dalla lista i danneggiamenti alla Bartolini nell’area industriale di Vibo: “Fu il frutto di un accordo tra “Mommo” Macrì e Peppone Accorinti; ma ne furono commessi anche a “Stocco&Stocco” e ad altri. Fu una iniziativa di Macrì che si interfacciava con Morelli ma noi non sapevamo nulla. Entrambi, per come mi riferì quest’ultimo, avevano fermato a Vibo un corriere di Bartolini, minacciandolo. Lo fecero scendere dal furgone e credo l’abbiano pestato”
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