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ROMA – Sedici anni di carcere: è il responso del processo, celebrato davanti al giudice Filippo Steidl con rito abbreviato, a carico di Luigi Preiti, l’uomo che il 28 aprile dello scorso anno sparò davanti a Palazzo Chigi mentre era in corso l’insediamento del governo di Enrico Letta, colpendo alcuni carabinieri e ferendone quattro. 

«Chiedo scusa ai carabinieri, alla famiglia dei feriti e ai miei famigliari. Chiedo scusa a tutti… vorrei essere io al posto di Giuseppe Giangrande» ha affermato l’attentatore prima che il giudice pronunciasse la sentenza per la sparatoria avvenuta davanti a Palazzo Chigi. Al termine della sua arringa la pubblica accusa, rappresentanta dal pubblico ministero Antonella Nespola, aveva chiesto la condanna a 18 anni di carcere per il calabrese. 

«UNA SENTENZA GIUSTA» – L’accusa per lui era tentato omicidio plurimo, porto abusivo di arma clandestina e ricettazione. A seguito della sua sparatoria subì gravi ferite il brigadiere Giuseppe Giangrande, che attualmente soffre di tetraplegia. 

GUARDA IL VIDEO – GIANGRANDE PARLA 8 MESI DOPO

Feriti anche altri due carabinieri: Francesco Negri ad una gamba e Delio Marco Murighile. Illeso invece il quarto carabiniere che al momento della sparatoria si gettò a terra. Secondo il penalista Eriberto Rosso, che assite Giangrande, «quella pronunciata oggi è una sentenza giusta… Quella che ci aspettavamo. Il giudice ha accolto tutte le richieste delle parti civili e gli stessi carabinieri feriti nonchè la figlia di Giangrande hanno espresso la loro soddisfazione. E’ la risposta pubblica che dà conto a chi è stato colpito nello svolgimento del proprio dovere. Adesso aspettiamo di leggere le motivazioni e prendiamo atto che la sentenza ha ritenuto che Preiti ha agito in assoluta consapevolezza. Si tratta di tentativo omicidi volontari».

PRONTI A FARE RICORSO – Si dicono pronti a fare ricorso invece i difensori di Preiti: «Aspettiamo di leggere le motivazioni della sentenza; certo è che faremo appello perchè c’è tanto che non quadra». Gli avvocati 

Raimondo Paparatti e Maurizio Danielli, difensori di Luigi Preiti, commentando la condanna del disoccupato calabrese per aver ferito due carabinieri, facendo fuoco davanti a Palazzo Chigi il 28 aprile scorso.
“Ci pare di aver notato che il giudice non abbia riconosciuto quelle attenuanti generiche che la stessa procura aveva chiesto &amp;#8211; hanno aggiunto i due penalisti &amp;#8211; Se ne avesse tenuto conto, staremmo qui a parlare di una riduzione ulteriore di pena. Il giudice poi non ha evidentemente tenuto conto della nostra consulenza tecnica nella quale si è sottolineato come Preiti fosse affetto da una forte depressione e che questa patologia aveva inciso sulla sua volontà”.

Raimondo Paparatti e Maurizio Danielli, infatti, ritengono «di aver notato che il giudice non abbia riconosciuto quelle attenuanti generiche che la stessa procura aveva chiesto. Se ne avesse tenuto conto, staremmo qui a parlare di una riduzione ulteriore di pena. Il giudice poi non ha evidentemente tenuto conto della nostra consulenza tecnica nella quale si è sottolineato come Preiti fosse affetto da una forte depressione e che questa patologia aveva inciso sulla sua volontà».

LE TELEFONATE “PRO CALABRIA” – Sulla vicenda, intanto, trapelano indiscrezioni circa l’arrivo alla segreteria della presidenza del Consiglio, prima che avvenisse la sparatoria, di alcune telefonate con le quali si sollecitavano “aiuti per la Calabria”. Le indagini disposte dal magistrato avrebbero comunque escluso un legame tra il gesto di Preiti e le comunicazioni ricevute da funzionari della Presidenza del Consiglio. 


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