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Il tribunale di Cosenza

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COSENZA – Due donne e una verità sospesa tra l’estorsione e una pretesa legittima. Da un lato la presunta parte offesa di questa vicenda, che sostiene di aver subito le pressioni di una cartomante: richieste economiche nell’orbita di cinquecento euro per assicurarle la libertà da una serie di malefici che incombevano sulla sua famiglia.

E poi un ricatto: quello di svelare un particolare scabroso che avrebbe messo in crisi la sua vita coniugale. Sullo sfondo poi minacce di ritorsioni da parte della criminalità organizzata, facendo leva anche sulla presenza di un marito galeotto che, però, non sarebbe rimasto in carcere a lungo. E prima o poi…

È sulla scorta di questi sospetti che, sabato scorso, Paola Libero, 57 anni, è stata arrestata dalla Squadra Mobile e spedita ai domiciliari dopo aver intascato la somma di denaro in questione, una consegna concordata tra la vittima e i poliziotti poi intervenuti a cogliere sul fatto la sedicente maga.

Sembrava un caso chiuso, ma sono stati sufficienti tre giorni per rimettere tutto in discussione. Ieri, infatti, il gip Letizia Benigno ha convalidato sì l’arresto dell’indagata ma senza applicare alcuna misura cautelare, con sommo disappunto della Procura che per lei aveva chiesto invece la detenzione in carcere.

Un epilogo determinato dall’udienza di convalida alla quale la Libero ha partecipato insieme al suo difensore di fiducia, l’avvocato Antonio Quintieri. In quella sede la donna si è difesa, sostenendo che quei soldi fossero in realtà il frutto di un prestito da lei concesso alla sua accusatrice e da quest’ultima mai restituito.

Anzi, nel corso del tempo la donna avrebbe tentato di sottrarsi al confronto e cancellare così la memoria di quel debito da lei contratto. E così, messa alle strette, la Libero avrebbe deciso di rivolgersi al coniuge di lei, producendosi nelle invettive dal tono minaccioso documentate dalle intercettazioni: «Vengo a casa e la picchio», «La faccio proprio male», «le faccio male pesantemente perché vengo dal centro storico io», evocando poi lo spettro del marito e dei figli «che sono più pazzi di lui».

Circostanze che la diretta interessata ha imputato alla rabbia e alla frustrazione del momento, ma per il resto la linea è stata quella di negare a oltranza: il mestiere di chiromante? mai esercitato in vita sua; lo spessore criminale del marito? mai detto né pensato, tant’è che l’uomo è libero e non detenuto come, invece, sostenuto dall’altra donna. E i segreti sul conto di quest’ultima che minacciava di rivelare? falso, mai saputo nulla della sua vita privata.

Insomma, la parola dell’una contro quella dell’altra, condizione che, secondo il giudice, rende di per sé l’indagine «incompleta», priva «di riscontri», con le dichiarazioni della vittima «in astratto non pienamente attendibili».

Resta il tono minaccioso di quelle telefonate, ma manca «la ricostruzione della natura effettiva dei rapporti economici e personali tra le due donne». È per tutte queste ragioni che, all’esito delle dichiarazioni dell’indagata e delle richieste del suo difensore, il gip Benigno non ha inteso convalidare l’arresto ma senza emettere alcuna misura. Morale della favola: l’inchiesta continua, ma con l’indagata a piede libero. Di nome e di fatto.

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