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CHE il deposito di stoccaggio di gas proposto da Geogastock in Valbasento fosse al centro di affari internazionali Italia- Russia è cosa nota. Per la precisione dal 27 febbraio 2009, all’indomani del sì dei ministeri dell’Ambiente e dei Beni culturali alla Valutazione d’impatto ambientale incassato dalla società italo-russa, parte della Energetic Source di Paderno Franciacorta, guidata da Alexandro Floris e controllata a sua volta da Avelar Energy Group, holding europea della Renova, colosso energetico russo guidato da Viktor Vekselberg. 

Quattrocento milioni di euro: questa l’entità dell’investimento; un miliardo di metri cubi la capacità dei due depositi.  Nell’accordo sottoscritto a giugno 2010 dalla società con i sindaci di Salandra, Ferrandina e Pisticci, i tre comuni interessati dalle concessioni Cugno le Macine e Serra Pizzuta, è scritto che i comuni “sono consapevoli dell’importanza nell’interesse generale del Paese dell’incremento della capacità di stoccaggio di gas naturale”. E, forse l’aspetto più importante, che le compensazioni ambientali vengono assegnate ai tre comuni in base all’articolo 1 comma 5 della legge Marzano che prevede “per le regioni e gli enti locali territorialmente interessati dalla localizzazione (…) il diritto di stipulare accordi con i soggetti proponenti  che individuino misure di compensazione e riequilibrio ambientale, coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica nazionale”. Più chiaro di così. Il deposito proposto da Geogastock non è mai stato considerato un investimento produttivo come tutti gli altri che a cicli regolari vengono catapultati dall’alto sul territorio. Lo stoccaggio del gas, sapevano tutti  che si trattava di un investimento strategico, frutto di un accordo internazionale Italia- Russia. Un accordo da rispettare a tutti i costi. 

E così, nella regione rossa, a nessuno è venuto in mente di intralciare i piani affaristici dell’allora premier Berlusconi. Più che come un investimento strategico di interesse pubblico, Geogastock è stato gestito come un affare per pochi da cui cercare di trarre il massimo profitto e non sempre, solo e necessariamente esclusivamente per il territorio. Nel pacchetto, oltre al milione di euro frettolosamente accettato dai tre sindaci (la retromarcia del Comune di Pisticci che ha determinato un ridimensionamento del progetto è cosa recente ndr), qualcuno mormora, anche promesse di posti lavoro per parenti e amici. Ma si tratta di dicerie appunto. Un fatto, invece, il tentativo di Geogastock di allargare al mercato delle energie rinnovabili la sua sfera di interessi in Valbasento. Insieme alle compensazioni pecuniarie, infatti, nell’accordo, la società promette di impegnarsi “ad analizzare progetti sia di grande dimensione sia di piccola taglia” sviluppabili nei tre comuni interessati. Sul merito del progetto alcun cenno. E anche sui posti di lavoro tanto propagandati. Nessun numero nero su bianco. Dai soggetti istituzionali nessuna osservazione circa la mancata presentazione del Piano dei rifiuti e di sicurezza, obbligatorio per progetti ad alto rischio di incidente rilevante come quello di Geogastock. Nessuna preoccupazione circa lo stato dei pozzi dismessi, soprattutto quelli dichiarati inquinati dallo stesso Comune di Ferrandina, e  bonificati solo in parte. L’unico obiettivo, visto che il Governo italiano e i russi ci guadagnano e anche molto, quello di accaparrarsi la propria fetta di torta. Se poi si tratta di briciole, pazienza. L’importante è trattare. Ma non con il Governo, visto che il sito è di interesse strategico nazionale. Meglio con l’azienda che, da quando si è aggiudicata la gara per ottenere la concessione dei pozzi esausti, non ha certo lesinato sponsorizzazioni per manifestazioni e iniziative del genere più disparato nei comuni interessati. E la Regione? Dopo essere rimasta al lungo al guado, alla fine si è fatta avanti. Per dire cosa? 

Che le compensazioni accettate dai Comuni sono  troppo basse rispetto all’importanza del progetto, ovviamente. E a chi lo ha detto? A Geogastock, mica al Governo. Per le associazioni ambientaliste una ragione in più per indignarsi e alzare la voce, dopo che una serie di  carenze  progettuali sono state più volte denunciate (vanamente), anche con esposti inviati a tutti gli enti coinvolti. Ma a rallentare negli ultimi mesi è stato proprio il colosso russo che, dopo aver cercato con ogni mezzo (anche illecito da quanto emerge dal caso Sacco), nel luglio scorso ha chiesto al Ministero dello Sviluppo economico l’ennesimo differimento del termine di inizio lavori previsto dalla concessione del 2 agosto 2012 al 31 agosto 2014. Che l’affare non sarà più tanto un affare?

m.agata@luedi.it

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