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TUTTO inizia in una soffitta di viale Firenze, dietro il bar Tazza d’oro. Sono passati 35 anni, ma Gianfranco Salbini sembra ancora emozionato quando racconta di quel quattordicenne affascinato dal mondo della trasmissione. Cinque amici, un trasmettitore da un watt e un nome: Radio onda libera.
«E anche se il nostro raggio d’azione era limitato e non avevamo un grosso bacino d’utenza (anche pubblicitario), avevamo un nostro pubblico di nicchia, trasmettevamo rock 24 ore su 24, come Radio città futura. E poi qui siamo stati i primi a comprare un trasmettitore quarzato, con cui riuscivamo a mantenere la frequenza fissa». E per far conoscere la radio si organizzavano anche iniziative collaterali, come il primo festival rock a Parco S. Antonio La Macchia. «E ci vennero anche i Litfiba: non erano ancora famosi, ma si vedeva già che erano dei professionisti rispetto agli altri. Conservo ancora il contratto che firmarono con noi».
Radio onda libera si trasforma dopo il terremoto: quattro soci scelgono altre strade, Salbini – insieme al fratello – decide che è il momento di dare un nuovo impulso: «se deve crescere deve avere altri componenti», ma soprattutto deve diventare un luogo dove tutti possano ritrovarsi, uniti da un’unica passione, la musica.
Nasce così Nuova Radio e, per sancire anche la rottura con il passato, «ci spostiamo in vico Rosica, dietro San Michele. Capimmo anche di dover cambiare un po’ anche genere musicale, diventammo più commerciali anche se le “dediche e richieste” no, quelle non le volevo davvero, comunque volevamo dargli un certo profilo».
In vico Rosica arrivano tanti ragazzi, tutti giovani, tutti legati da quella passione e quella voglia di parlare al microfono per comunicare con il mondo. «E ognuno aveva un suo programma. Certo io capivo all’inizio se uno aveva più capacità per l’una o l’altra cosa, si faceva un po’ di formazione e poi loro erano liberi di esprimersi. E in tanti sono passati in radio: Tony Riskio, Antonio Gerardi, Pino Quartana, Vito Verrastro, Maurizio Dresda, Antonella Tolve. Qualcuno poi in questo mondo c’è rimasto e ha avuto successo».
Sono gli anni della passione, «la radio -racconta Domenico Albini – era per noi un’avventura e noi eravamo meno commerciali degli altri, i nostri gusti erano molto impegnati. Ma stare in radio non significava solo fare il programma. Era quello il luogo delle amicizie, quelle vere. Io ho frequentato altre radio, ma c’era meno impegno, quella passione non l’ho più trovata da nessuna parte».
«Era un luogo di grande creatività e bravura – conferma Antonio Caporale, alias Tony Riskio – ci siamo davvero divertiti a fare radio in quel periodo. Era un circolo di amici. E posso confermare, avendo fatto tantissime altre esperienze in radio locali, che i due fratelli Salbini erano davvero editori e non faccendieri, come spesso mi è toccato di vedere in questo ambiente. Due persone che investivano il loro stipendio nella radio. Noi ci mettevamo volontariamente il nostro lavoro, è vero. Ma loro non si sono certo arricchiti – come tanti altri hanno fatto – sfruttando la passione dei ragazzi. E la dimostrazione è che poi, a causa delle ristrettezze economiche, sono stati costretti a chiudere».
Ci sono due eventi che costringono a smantellare Nuova Radio: «il concerto di Tony Esposito – racconta Caporale – che fu un mezzo flop. Erano stati investiti un bel po’ di soldi su quel concerto». E poi, a metà anni Ottanta, l’arrivo di una serie di regole che segnano, di fatto, la morte di molte radio libere. «Dovevi trasmettere per forza un telegiornale – racconta Salbini – e conservare poi le registrazioni che potevano essere chieste dalla Questura. Si iniziò a ipotizzare un pagamento alla Siae e si doveva nominare un caporedattore. Troppi cambiamenti, che mi convinsero a cambiare rotta».
Così, all’inizio degli anni Novanta, apparato e frequenza vengono vendute a una delle prime radio nazionali che facevano capolino: Dimensione Suono. «Ma per non perdere completamente il contatto con quel mondo – continua Salbini – tenni a casa il ripetitore: prendevo il segnale da Montecaccia e trasmettevo qui. Si faceva lo “splittaggio” della pubblicità: cioè le trasmissioni erano nazionali, ma al momento della pubblicità il segnale si spegneva e noi qui mandavamo la pubblicità locale. Mi pagavano il fitto, la manutenzione tecnica e la pubblicità. Ma la mia famiglia non era contenta. In più avevo vinto il concorso per entrare tra i Vigili del fuoco, mi spostarono a Roma e Torino. E così lasciai perdere tutto. Però la passione non l’ho persa: ora sono coordinatore del nucleo telecomunicazioni provinciali dei Vigili del fuoco».
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