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LE sette di mattina, di una giornata uggiosa, come lo è l’animo dei viaggiatori, in attesa per andare lontano, con le loro valige, i pacchi ricolmi di prodotti semplici, ma genuini, per sentire anche lì dove ora è la nuova vita, il calore della terra natia, degli affetti lasciati. Il pane è stato fatto in casa per l’occasione. Ci sono il vino, l’olio e il salame. C’è anche chi ha portato l’origano, «perché altrove – obietta fiero – il profumo non è lo stesso». La voglia di parlare però è poca.
In una grande piazza autobus e pulmini affluiscono da tutta la regione, solcata in lungo e in largo per le strade dei vari paesi per accogliere uomini e speranze. Qui i viaggiatori saliranno sui bus gran turismo che collegano con il Nord, la Svizzera e la Germania.
È un’umanità variegata. Partire non è mai semplice. Ci sono: impiegati, insegnanti, uomini con i calli alle mani, contadini divenuti operai, muratori che un mestiere lo avevano già. C’è chi rientra dalla visita ai parenti. Ci sono genitori che vanno a trovare i figli, fuori perché studenti o perché hanno deciso di restare nella nuova terra mentre padre e madre immaginano di trascorrere la vecchiaia nella casa di origine, poiché ai luoghi che li hanno accolti per anni e ai quali devono molto, non si sono mai abituati veramente e a volte si sentono anche inadeguati a vivere dove sono tornati. Non sono di due cuori, ma ne hanno uno spezzato, da un dolore lenito da una soddisfazione grande: aver garantito un futuro a figli e nipoti. È settembre, il clima è fresco e ci vorrà ancora qualche ora prima che il sole sia alto.
Sull’autobus una giovane mamma, è una professoressa, in partenza come da qualche anno per una scuola dell’Emilia.
A terra il marito con la figlioletta stretta al collo, li ha appena abbracciati forti, prima di lasciarli. «Mamma, mamma» grida la piccola. Le lacrime solcano lente il viso della donna. Ha le mani giunte in preghiera: «Dio mio dammi la forza di non guardarla, altrimenti stavolta non parto più».

LE sette di mattina, di una giornata uggiosa, come lo è l’animo dei viaggiatori, in attesa per andare lontano, con le loro valige, i pacchi ricolmi di prodotti semplici, ma genuini, per sentire anche lì dove ora è la nuova vita, il calore della terra natia, degli affetti lasciati. Il pane è stato fatto in casa per l’occasione. Ci sono il vino, l’olio e il salame. C’è anche chi ha portato l’origano, «perché altrove – obietta fiero – il profumo non è lo stesso». La voglia di parlare però è poca.In una grande piazza autobus e pulmini affluiscono da tutta la regione, solcata in lungo e in largo per le strade dei vari paesi per accogliere uomini e speranze. 

Qui i viaggiatori saliranno sui bus gran turismo che collegano con il Nord, la Svizzera e la Germania.È un’umanità variegata. Partire non è mai semplice. Ci sono: impiegati, insegnanti, uomini con i calli alle mani, contadini divenuti operai, muratori che un mestiere lo avevano già. C’è chi rientra dalla visita ai parenti. Ci sono genitori che vanno a trovare i figli, fuori perché studenti o perché hanno deciso di restare nella nuova terra mentre padre e madre immaginano di trascorrere la vecchiaia nella casa di origine, poiché ai luoghi che li hanno accolti per anni e ai quali devono molto, non si sono mai abituati veramente e a volte si sentono anche inadeguati a vivere dove sono tornati. Non sono di due cuori, ma ne hanno uno spezzato, da un dolore lenito da una soddisfazione grande: aver garantito un futuro a figli e nipoti. 

È settembre, il clima è fresco e ci vorrà ancora qualche ora prima che il sole sia alto.Sull’autobus una giovane mamma, è una professoressa, in partenza come da qualche anno per una scuola dell’Emilia.A terra il marito con la figlioletta stretta al collo, li ha appena abbracciati forti, prima di lasciarli. «Mamma, mamma» grida la piccola. Le lacrime solcano lente il viso della donna. Ha le mani giunte in preghiera: «Dio mio dammi la forza di non guardarla, altrimenti stavolta non parto più».

(Pubblicato nell’edizione cartacea del Quotidiano della Calabria del 29 novembre)

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