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Il presidente del Consiglio Mario Draghi

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Numerose e dettagliate discettazioni tra costituzionalisti, docenti, addetti ai lavori. Una pioggia di pensosi moniti e avvertimenti politici perché si apre una fase in cui chissà gli equilibri della grande coalizione che fine fanno.

Varie e variopinte analisi di commentatori e analisti protesi a spiegare come e perché il governo rischia e nessuno può sapere cosa succederà.

Poi arriva lui, il presidente del Consiglio, e con un ventaglio neppure troppo articolato di concetti e affermazioni, chiude la discussione. E cancella con un voilà il semestre bianco.

Già perché il vero risultato dell’affondo su Green pass e (soprattutto) riforma della giustizia sta nel fatto che SuperMario ha depotenziato quello che alla vigilia appariva un tunnel in mezzo, ad un certo punto qualsiasi o addirittura alla fine del quale avrebbe dovuto alzare bandiera bianca e ammettere che l’azione di governo non poteva proseguire.

Ovviamente quella dell’eliminazione del semestre bianco è nient’altro che una iperbole ed ha valore solo politico. Tuttavia il significato è chiaro e di grande impatto. Sostanzialmente con il via libera alle nuove misure anti-Covid e con l’annuncio della decisione di apporre la fiducia sulla riforma Cartabia, il capo del governo ha statuito senza mezzi termini che trappole, sgambetti, manovre di qui fino all’elezione del nuovo presidente della Repubblica non saranno consentiti.

Il cronoprogramma riformista resta in tutta la sua articolazione e rilievo. Se un settore, anche ragguardevole, della maggioranza decide di farsi da parte, il presidente del Consiglio – sempre che i numeri continuino a permetterglielo – andrà avanti senza incertezze, deciso a compiere fino al suo completamento il lavoro che deve portare il Paese a rispettare gli impegni presi con l’Europa e garantire il flusso di finanziamenti preventivato. In linea con il Quirinale che copre le spalle ma comunque sicuro della giustezza del percorso intrapreso.

Perciò fuori da rigurgiti retorici e laudatori, come pure da viscerali opposizioni: la realtà è che la lezione di premiership impartita da Draghi ha pochi o forse nessun precedente dal dopoguerra ad oggi. Di fronte ad una destra che in molti casi si compiace di atteggiamenti sguaiati che poco hanno a che vedere con l’interesse generale e ad una sinistra troppe volte innamorata di ideologia e settarismo, in perenne ricerca di un nemico da abbattere e un avversario da annichilire, il premier mostra uno spessore ideale e una capacità di incidere che rappresentano un vero patrimonio per un’Italia come quella che si appalesa in questa fase: confusa, rabbiosa, scettica, smarrita. Non a caso i sondaggi premiano un personaggio così avulso dai giochi e le camarille di potere, anche se esercitare il potere è una capacità che Draghi possiede e non ha timore di mostrare.

Il semestre bianco, cioè il periodo prima della scadenza del mandato nel quale il presidente della Repubblica non può sciogliere le Camere ed è dunque privato di uno strumento potentissimo di pressione e indirizzo, era apparso a molti come la tempesta perfetta nella quale provare ad affondare il vascello draghiano.

Ebbene il capo del governo ha rovesciato i termini della questione. La possibilità di imboscate si scontra non solo con l’inesistenza di un piano B e il pericolo di far evaporare le risorse in arrivo da Bruxelles, ma anche e soprattutto con la assoluta determinazione messa in campo da Draghi per continuare l’opera riformista volta a mettere in sicurezza il Paese e a cogliere una opportunità che, pure questa, non ha precedenti. Una novità positiva, che spiega come le riforme costituzionali e l’ammodernamento della Carta restano indispensabili ma che una premiership consapevole e autorevole può comunque muoversi nel quadro delle regole fissate nel 1948 potendo riuscire comunque portare a casa risultati tutt’altro che trascurabili. La Costituzione è nata prevedendo partiti forti e istituzioni deboli. Ora i partiti sono praticamente scomparsi a favore di leadership solitarie e poco partecipate, mentre le istituzioni non sono state riformate. Dunque quel che resta è una necessaria e indispensabile capacità di governo che può essere espressa solo muovendosi con speditezza, lungimiranza, equilibrio. Un identikit che allo stato sembra fatto su misura per SuperMario.

Ne è riprova anche un altro elemento, espresso in modo indiretto ma che ha grande rilevanza. Molti osservatori hanno messo in risalto che il presidente del Consiglio ha in buona misura schiaffeggiato destra e sinistra paritariamente: sul Green Pass sbarrando la strada a Salvini e Meloni; sulla riforma della giustizia non lasciando spazio alle incursioni di Giuseppe Conte. Vero, ma fino ad un certo punto. Le due decisioni, a ben vedere, non hanno lo stesso peso.

Mentre infatti la battaglia sul fronte della pandemia ha ancora una dimensione emergenziale, dove ogni governo da qualsivoglia sostento e da chiunque guidato non può che agire per tutelare il maggior numero possibile di cittadini in linea con le argomentazioni della scienza; la fermezza e risolutezza con le quali Draghi ha difeso e difende la riforma della giustizia rappresentano il vero nocciolo duro del suo operato, sono la riprova che la trincea riformista sarà quella che Palazzo Chigi difenderà fino all’ultima cartuccia senza cedere a lusinghe, pressioni, avvertimenti. Da una parte, la sicurezza sanitaria che deve essere garantita a tutti; dall’altra la fermezza a non arretrare sul terreno che più consentirebbe all’Italia di voltare pagina, crescere, agganciare la ripresa, diventare uno Stato più moderno e più “comodo” per le giovani generazioni. Così il semestre bianco da spauracchio diventa un palloncino che vola leggero leggero verso il traguardo del draghiamo senza limitismo. Finora, quest’ultima, era un calembour, un paradosso teorico. Invece sempre più risulta un’opzione che sarebbe autolesionistico disperdere.


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