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L'aula bunker di Lamezia Terme e il processo Rinascita-Scott

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LAMEZIA TERME (CZ) – Ultima udienza della settimana per il collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena al processo “Rinascita-Scott” presieduto dal Collegio formato da Brigida Cavasino, Claudia Caputo e Gilda Romano.

 Il teste, rispondendo questa volta alle domande del pm Annamaria Frustaci, ha ripreso da dove aveva lasciato ieri, vale a dire focalizzandosi sulle figure a suo giudizio (e a quello della Dda) orbitanti nella galassia criminale vibonese.

LA “LOCALE” DI SAN GREGORIO

Il collaboratore, su domanda del pm Frustaci, in dagli anni 80, ha iniziato ad affrontare le tematiche riguardanti la Locale di ’ndrangheta di San Gregorio D’Ippona e i personaggi ad essa collegati. E così, ha esordito affermando che «dopo la morte di Pino Gasparro, il comando è passato a Rosario Fiarè, a Saverio Razionale, ai Vinci e ad altri soggetti a loro legati».

Sulle dinamiche sangregoresi, il teste ha affermato di averne conoscenza sin dagli anni ’90, per averle apprese dal defunto Totò Mazzeo «il quale a sua volta li seppe da Fiarè. Ovviamente esiste anche oggi una struttura di ’ndrangheta, anche se non è riconosciuta dal Crimine di Polsi, contrariamente ai suoi componenti apicali, ed è retta da Rosario Fiarè ed ha rapporti con tantissime altre cosche del Vibonese: Lo Bianco, Bonavota, la Locale di Piscopio e sono strettamente legati ai Mancuso di Limbadi. Fuori dal contesto vibonese, invece, sono molto ramificati a Torino anche perché avevano un loro parente che si chiama Lorenzo Fiarè». 

E il rapporto tra il casato mafioso di Limbadi e quello di San Gregorio era così stretto che «sempre dagli anni ’80, ma anche prima, Giuseppe Mancuso, alias “‘Mbrogghjia”, è stato latitante proprio nel piccolo borgo limitrofo a Vibo e che due suoi figli, avuti con una donna di Piscopio, dimorano proprio qui».

L’attenzione si è poi focalizzata sulle figure di Gregorio Giofrè, chiamato “Nasone”, genero di Rosario Fiarè, e di Gregorio Gasparro, detto “Il Gatto”, figlio di Pino Gasparro, ucciso dal suo amico Francesco Fortuna, detto “Pomodoro”. Del primo, il teste ha riferito essere la persona che aveva chiamato suo padre per «portare l’imbasciata di Peppe Mancuso, poco prima della sua sparizione. Con Tonino Fedele aveva una gioielleria a Vibo vicino al cinema Valentini. Giofré, tra l’altro, era stato tra i primi a portare a Vibo l’eroina».

Per quanto concerne le estorsioni, il pentito ha raccontato che l’imputato «fin dagli anni ’90 chiudeva tutte le estorsioni su Vibo e dintorni ed erano spesso gli imprenditori ad andare da lui. Ripartiva i soldi alla consorteria che operava in quel territorio, e il restante 50% lo divideva con Pantaleone Mancuso alias “Scarpuni”».

Su Gregorio Gasparro il collaboratore ha dichiarato essere il nipote di Razionale «del quale curava gli interessi qui quando lui si era trasferito a Roma dove ha creato una base logistica insieme ad altre persone e per allontanare i riflettori degli organi di polizia sulla sua persona che a Vibo erano costantemente accesi su di lui. Era molto impegnato nell’usura e aveva interessi con i classici colletti bianchi in altre attività anche se non saprei dire con chi nello specifico. Ultimamente – ha aggiunto – era molto attivo nel campo degli idrocarburi».

L’USURA AL MOCAMBO

Sul noto locale a Pizzo Calabro, Arena ha riferito che Razionale, definita «persona estremamente furba», aveva «messo sotto usura il ristorante ed anzi era ormai il padrone dello stesso», ricordando la circostanza, nel 2016, che in occasione del matrimonio del fratello di Francesco Antonio Pardea quest’ultimo inizialmente gli «disse di andare trovare Razionale a Roma per parlare del matrimonio ed avere uno sconto. E così, io, Raffaele e Marco Pardea ci recammo da lui. Il nostro contatto con Razionale era Nilo Pisani, che ha una ditta di impiantistica, suo referente nella Capitale. Razionale rispose di parlarne con il nipote Gasparro presso il quale andarono i Pardea».

Nell’occasione, il teste ha narrato che si affrontò anche l’argomento della collaborazione di Andrea Mantella e «lui si disse tranquillo in quanto il processo per l’omicidio di Domenico Lo Bianco (zio dell’ex boss di Vibo, ndr) li aveva fatti negli anni ’80 ed era stato assolto». Alla fine il matrimonio si fece «e lo sconto ci fu».

«C’ERA UN PROCESSO DA SISTEMARE»

Esordisce così Arena parlando di un procedimento in Corte d’Assise d’Appello a Roma che «riguardava soggetti della provincia di Reggio Calabria». Una vicenda sulla quale vige in parte il segreto investigativo, e infatti si è riferito sulla stessa in modo molto aleatorio, tuttavia, Arena ha riferito che i «Pardea si mossero presso Razionale in quanto a Roma aveva importanti collegamenti, e alla fine quei ragazzi furono assolti mentre in primo grado erano stati condannati».

LE INTERCETTAZIONI NELLO STUDIO DELL’AVVOCATO STILO

All’interno della ’ndrangheta, intorno il 2015-2016, si parlava di «intercettazioni che riguardavano Vincenzo Barba, Saverio Razionale, Gregorio Gasparro, Paolo Lo Bianco e Giuseppe Accorinti. Barba era molto preoccupato perché si parlava di diverse vicende compromettenti nelle quali era stato nominato anche Salvatore Morelli per qualche situazione estorsiva. Loro erano soliti incontrarsi nello studio, o nei pressi dello stesso, dell’avvocato Francesco Stilo (imputato in Rinascita, ndr) nel quale era stata piazzata una microspia di cui ebbero contezza nel 2015-2016 e che portò lo stesso avvocato a denunciarne il ritrovamento alla Procura di Salerno».

L’ESTORSIONE SUI LAVORI DI COSTRUZIONE DEL VIBO CENTER E AI CINESI

Arena afferma di aver appreso le circostanze su Gregorio Giofré «da Luigi Vitrò, Francesco Antonio Pardea, ma in generale erano note negli ambienti criminali, come l’estorsione per la costruzione del “Vibo Center” e che aveva questi in mano un grosso imprenditore edile di Vibo: Guastalegname».

Un’altra vicenda, saputa nel 2018, riguarda il negozio dei cinesi all’interno del centro commerciale «che si era messo a posto proprio con Giofrè. Tra l’altro, la presenza dei commercianti cinesi interessava anche al nostro gruppo».

I RAPPORTI TRA RAZIONALE E I COLLETTI BIANCHI

Il collaboratore ha riferito che «la persona che aveva più rapporti, con Gregorio Gasparro e Paolino Lo Bianco era Mario Lo Riggio. Era una “lavatrice” di denaro per entrambi riciclando il denaro suppongo, favorito dalle sue attività. Questo me lo dissero Pardea e Mommò Macrì che usciti di galera, intorno al 2017, si rivolsero a lui per chiedergli un aiuto economico, che ottennero ma che doveva essere restituito per come gli imposero Lo Bianco e Gasparro perché Mario Lo Riggio non era uno che si poteva toccare. Alla fine le somme furono restituite».ù

Lo Riggio che il pentito ha asserito di conoscere fin dagli anni ’90, quando aveva una rivendita di auto «della quale era socio occulto Paolo Lo Bianco con cui aveva un rapporto di comparaggio”; poi “lo vedevo in compagnia di mio zio Domenico Camillò (ritenuto il vertice del clan, ndr) e conosceva anche mio padre col quale andava anche a mangiare insieme».

IL BUSINESS DEI CARBURANTI

Sarebbe stato questo uno degli affari seguiti da Gasparro e anche di questa circostanza Arena ha rivelato di averla appresa da Francesco Antonio Pardea: «Mi disse che Paolino Lo Bianco e Gasparro erano interessati a questo business in quanto acquistavano benzina a basso costo per poi rivenderla ai vari distributori; e oltre a loro c’erano nello stesso settore Rosario Pugliese detto “Cassarola” e Orazio Lo Bianco alias “U tignusu”, col cui gruppo non andavamo d’accordo. Anche noi ci stavamo interessando a questo settore dopo averne discusso con Mario De Rito ma poi non se ne fece nulla anche perché iniziai la collaborazione».

«SAVERIO RAZIONALE COME POCHI»

«Lei a chi paragona Saverio Razionale a livello criminale nel vibonese?», domanda il pm Frustaci al collaboratore, che risponde subito: «A Rocco Anello e Peppe Accorinti; sono allo stesso livello suo per potenza militare e carisma, e sopra di loro, e quindi al vertice di tutta la provincia di Vibo, vi è Luigi Mancuso».

Solo che «con Anello e Razionale si può ragionare, con Accorinti no, lui si fa forte solo per via della paura che incute. Era una persona pericolosissima perché magari andavi a trovarlo per una semplice mangiata e ti ritrovavi con una corda al collo. E proprio una corda la mostrò a Pardea dicendo “Ma cosa devo fare con voi?”».

LA RISSA E LA RAPPRESAGLIA

La discussione avvenne vicino nel centro storico di Vibo tra, da un lato Luigi Federici e Michele e Domenico Camillò e dall’altro Michelangelo e Ciccio Barbieri ed un’altra persona. Discussione che degenerò in rissa al termine della quale «Michele Camillò mi disse di prendere le armi e andare a spararli. Temporeggiammo ma il giorno dopo giorno io, Michele Manco, Michele Pugliese Carchedi, Giuseppe Camillò, Francesco Pardea, “Mommo” Macrì e Dominello stabilimmo di rispondere subito e di colpire per prima la terza persona che accompagnava i due fratelli; per l’arma si attivò mio cugino Giuseppe Camillò che da Luigi Vitrò si procacciò un Winchester. Inizialmente sarebbero dovuti andare a sparare Domenico Camillò e Lugi Federici, ma poi andò Michele con la raccomandazione che se avesse visto questo soggetto avrebbe dovuto colpirlo alle gambe. Io gli procurai una moto. Alla fine l’azione fu fatta” ma a quel punto la paura di rappresaglie nel gruppo di Arena era più che fondata: “Ci guardavamo dai nipoti di Accorinti e dallo stesso Peppone, e ventilavamo anche la possibilità di ucciderlo perché altrimenti lui avrebbe fatto lo stesso con noi. Poi, però, si incontrò con “Mommo” Macrì al quale gli disse: “Ma per una cosa di ragazzi bisognava arrivare a sto punto?” e la cosa rientrò».

Sulle figure dei Barbieri, il pentito ha raccontato di un altro pestaggio, tra il 2012-2013, «commesso da loro ai danni di Francesco Fiarè, figlio di Rosario, avvenuto nei pressi della piscina comunale di Vibo. Quest’ultimo, per come mi ha riferito Luigi Vitrò, era talmente imbufalito che voleva addirittura violare la sorveglianza speciale per raggiungere Accorinti ma poi si mise in mezzo Saverio Razionale che andò da Peppone il quale, mi fu riferito, malmenò i suoi nipoti anche perché non era contento di come si comportavano».

GLI ACCORINTI, I FIARÈ E LA DROGA

Secondo il collaboratore di giustizia, per averlo appreso sempre da Luigi Vitrò (alias “Occhi di gatto”), i Fiarè e gli Accorinti avrebbero avuto anche rapporti con il broker «Vincenzo Barbieri, uno dei narcos più grossi di tutta la Calabria il quale si serviva per i suoi traffici di alcuni ragazzi di Vibo: Antonio Franzé, detto “Platinì” e di Filippo Paolì, del genero Giorgio Galiano, e di Giuseppe Topia che era il suo braccio destro e che andava per le famiglie a chiedere soldi per l’investimento di stupefacente. Altri personaggi andavano in Sudamerica e facevano il cosiddetto “ostaggio” fino a quando non arrivava il bonifico del pagamento propedeutico alla spedizione, via mare, della droga. Una volta proprio Topia, che aveva rapporti stretti con Vitrò, rischiò di essere ucciso, ma uno dei Pugliese di Sciconi, che stava lì in quanto sposato con una sudamericana, lo fece fuggire».

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Stefano Mandarano

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