Jonathan Safran Foer
5 minuti per la letturaJONATHAN Safran Foer ha 44 anni: ha esordito come scrittore quando ne aveva 25, con Ogni cosa è illuminata, best seller internazionale che lo ha immediatamente catapultato nell’olimpo delle star della letteratura contemporanea. È nato a Washington, in una famiglia dalle solide radici intellettuali: il paadre Albert, avvocato, è stato presidente dell’Antitrust americana; mentre la madre Ester, di origini polacche, figlia di due sopravvissuti all’olocausto, è consigliere anziano della storica sinagoga Sixth & I, luogo di culto e “centro per le arti, l’intrattenimento e le idee”.
Ha due fratelli che hanno conquistato autonomamente il successo nel panorama culturale: Franklin è stato direttore del New Atlantic; mentre Joshua, dopo aver vinto il campionato di memoria degli Stati Uniti, ha scritto Passeggiando sulla luna con Einstein: l’arte di ricordare tutto. A 18 anni, Foer si iscrisse all’Università di Princeton per studiare filosofia. Lì, quasi subito, si accorse di avere piuttosto una certa passione per la scrittura che, nel giro di poco, si trasformò in una vera e propria necessità.
Si mise a seguire i corsi di Joyce Carol Oates, la quale ne osservò con attenzione la maturazione, e un giorno gli disse: «Tu hai il talento più importante per diventare uno scrittore, l’energia». E, qualche romanzo più tardi, possiamo aggiungere che a Jonathan non mancano la lucidità, l’ironia, la capacità di guardare al mondo e alle persone e di raccontare la vita per quello che è. Senza pessimismo, eppure senza mai indorare la pillola. Per dirlo con due sue battute: «le canzoni sono tristi come colui che ascolta» e «è doloroso scoprire che ci vuole tutta la vita per imparare a vivere».
Foer è altresì noto per le sue relazioni sentimentali: è stato sposato per 10 anni con Nicole Krauss, a sua volta scrittrice di talento, con la quale ha avuto due figli. Poi ha avuto una relazione, molto chiacchierata, con Michelle Williams: uno scrittore e un’attrice, una cosa che l’America non vedeva dai tempi di Arthur Miller e Marilyn Monroe, e che alla stampa non è certo sfuggita. Come l’amicizia, ma niente di più, assicurano i ben informati, di Jonathan con Natalie Portman. Oggi vive in una gigantesca villa degli anni ‘20 a Brooklyn, New York. Forse solo, alcuni dicono con una nuova compagna. Sicuramente non ha problemi di spazio, in una residenza che potrebbe comodamente ospitare almeno 15 persone.
Dal 2002, anno di uscita del suo primo romanzo, da debuttante di successo è diventato uno scrittore milionario, protagonista, nonostante la sua riservatezza, delle riviste patinate. Quel genere di scrittore che «un certo segmento del mondo letterario newyorkese ripiegato su se stesso ama odiare; per la sua vita dorata; per quell’aria da bambino prodigio; per la casa di Park Slope; per il suo fraternizzare con le celebrità; per il suo prendersi troppo sul serio», ha osservato il Time.
Di lui è stato detto che riesce a mettere insieme l’umorismo di Philiph Roth con la sperimentazione di David Foster Wallace. Ogni cosa è illuminata è il romanzo che Foer ha scritto come tesi di laurea, che è diventato un caso editoriale e poi un film. È frutto del viaggio in Ucraina che lui stesso ha compiuto nel 1999 per fare ricerche sulla vita di suo nonno, ebreo coinvolto nelle persecuzioni naziste. Un racconto autobiografico, esilarante e al tempo stesso straziato, che intreccia presente e passato.
Ne parlò così Fernanda Pivano: «È straordinario pensare che il secolo sia cominciato con il libro straordinario di uno scrittore straordinario come questo». Tre anni dopo, nel 2005, è uscito Molto forte, incredibilmente vicino, il suo secondo romanzo, che ha vinto premi ed è diventato anch’esso un film. Un ragazzino perde il padre nell’attacco terroristico alle Torri Gemelle. E in maniera molto fantasiosa prova ad andare avanti. Ad affrontare quel dolore, a riempire quell’assenza, a riaprirsi alla vita. Il punto di vista di un bambino di fronte a una tragedia collettiva totalmente priva di senso, regala al lettore un’inaspettata e, per questo ancora più sorprendente, leggerezza, spogliando al contempo la vicenda di ogni forma di rancore.
Negli 11 anni che separano l’uscita del secondo romanzo da quella del terzo, Eccomi (2016), Foer ha pubblicato un saggio a metà tra il racconto e l’inchiesta giornalistica: Se niente importa, di denuncia contro gli allevamenti intensivi e le torture che polli, tacchini, maiali, mucche devono subire prima di finire sulle tavole. Il volume lo ha reso una vera icona vegetariana: alla stregua di un profeta, con le sue parole e la sua testimonianza, ha fatto “convertire” al vegetarianismo diverse star (tra cui proprio la Portman). D’altronde, di quel regime alimentare Jonathan è apostolo convinto fin da giovanissimo. Eccomi, è senza dubbio il suo libro più alto, più maturo. Come ha notato il critico Adam Scott, se «nei suoi primi due romanzi Foer ha trasformato delle tragedie reali in opportunità letterarie, facendo luce sugli orrori della storia attraverso la sua sensibilità; qui fa esattamente l’opposto, utilizzando un disastro immaginario per far luce sugli umori e sui fallimenti di personaggi simili a lui».
La crisi dell’uomo contemporaneo scarnificata in una parola, quella del titolo, che non è altro che la traduzione dell’ebraico hinneni: così Abramo, il primo patriarca in crisi della storia, rispose a Dio quando gli chiese di sacrificare suo figlio. Nel 2019 Foer è tornato sugli scaffali con Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Ancora un saggio, ancora per parlare di attualità, temi ambientali e sociali: un invito sentito a fare qualcosa contro il cambiamento climatico; lo sforzo di una persona intelligente e sensibile, di uno scrittore, di un padre per contrastare come può questo processo di auto-distruzione di massa.
Perché seppure siamo ormai tutti consapevoli del problema, che sconvolgerà per sempre e in negativo il nostro modo di vivere, non riusciamo ad attuare le azioni correttive necessarie. Né come collettività, né come singoli. Foer continua a prendersi sul serio, cercando di convincere degli sconosciuti a fare qualcosa. E le argomentazioni non gli mancano: il messaggio finale è rivolto ai figli, ai quali ciascun genitore – non solo a parole, ma con le proprie scelte – spera di riuscire a insegnare «la differenza tra correre verso la morte, correre per sfuggire alla morte e correre verso la vita».
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