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Nel 1952 lo Stato ne aveva dato una definizione precisa. La legge Fanfani le aveva finanziate dotandole di risorse per far fronte alle esigenze particolari legate al territorio. Ma partire dagli anni ’90 un’altra legge le ha cancellate facendole di fatto scomparire dal registro degli enti locali. Non pervenute, un colpo di spugna sull’onda degli scandali legati agli sprechi di Tangentopoli. Da quel momento le Comunità montane non sono più una competenza del ministero degli Interni. Sia che lo sia realmente, sia che lo siano state in modo fittizio per ottenere i finanziamenti, seppure geograficamente situate al livello del mare. Un oggetto misterioso, un ufo che volteggia nel nostro ordinamento amministrativo. I criteri per definirle variano a seconda dello Statuto. Quota altimetrica, estensione dei comuni, dislivello, lontananza dai centri urbani, pendenza. E chi come l’Istat utilizza ancora la lista fornita dall’Unicem, un elenco scritto da una commissione censuaria 69 anni fa.

“CRITERI DIVERSI PER STABILIRE COS’E’ LA MONTAGNA”

“Se non fa lo Stato le regioni più intraprendenti continueranno a farsi da sole le leggi sulla montagna, visto che rientra tra le loro competenze – spiega Luca Masneri, sindaco di Edolo, comune montano in provincia di Brescia, coordinatore del Tavolo tecnico scientifico istituito dal ministro agli Affari regionali Maria Stella Gelmini – anche perché il ragionamento è semplice: se lo Stato non lo fa, lo faccio io”.

Risultato: alcune regioni le hanno conservate e continuano a pagare i dipendenti. Si occupano di gestione associata, programmano e offrono servizi e Altre le hanno soppresse. Una totale deregulation dal Trentino Alto Adige alla Sicilia. Ve ne sono alcune anche molto grandi che mettono insieme più di 40 comuni, ad esempio la Comunità montana della Val Camonica. E funzione anche egregiamente bene. Non sono più dal punto di vista normativo e istituzionale un ente, ma la Lombardia a tutti gli effetti le considera tali e le finanzia.

Il Lazio invece le ha commissariate. Un effetto degli scandali a ripetizione: comunità montane che usufruivano di agevolazioni e vantaggi pur essendo praticamente a livello del mare. Dipendenti pagati per non fare nulla. Comunità montane che non erano più comunità ma continuavano ad avere un organico sovradimensionato. E non stiamo parlando del giurassico ma di meno 10 anni fa quando i costi del personale incidevano per oltre 150 milioni di euro.

“Il Legislatore nazionale – riprende Masneri, 40 anni, laureato in economia alla Bocconi, da 20 amministratore – si è inventato le unione dei comuni e ognuno da quel momento si gestisce come vuole. Se andiamo in Trentino, data la lunga presenza asburgica, troverà la Comunità della Val di Fiemme, universalmente riconosciuta come molto efficace. Altrove è presente sul territorio ma di fatto non è riconosciuta, Alla base di tutto c’è una domanda: che cos’è la montagna? Non esiste una pubblicazione, una analisi comparativa”, insiste Masneri.

Che chiarisce: ”Non sono un centralista, non credo ci sia bisogno di omologare ma di mettere ordine sì. Non può esserci una montagna di serie A, una di serie B e serie C. Non possiamo accettare il principio che il 50% del territorio non venga definito in alcun modo, stiamo parlando del 43% dei comuni italiani, dove si produce il 16% del Pil, dove vivono circa 18 milioni di persone”. Se lo Stato vuole riappropriarsi del tema deve dire cos’ è la montagna e fare una legge alla quale tutte le regioni devono attenersi. Ed è quello che una commissione composta da 40 saggi istituita dalla presidenza del Consiglio sta scrivendo.

Una legge sulla montagna che verrà presentata alla fine di luglio. Intorno al Tavolo tecnico si sono riuniti tra gli altri – tutti a titolo gratuito – un generale della Forestale, Nazario Palmieri, un presentatore televisivo Rai, Massimiliano Ossini, docenti e varie università italiane del Nord, Centro e Sud Italia, avvocati, esperti di montagna come Luca Zani, la professoressa Anna Giorgi, responsabile Unimont con delega alla valorizzazione delle aree montane, esperti di comunicazione e di politica comunitaria. Insomma il gotha della montagna. Il mantra del sindaco di Edolo è tratto da un libro (“La Montagna perduta”): “L’olografia non è una condanna, la condanna sono le politiche pubbliche”. La promessa è quella di non aggiungere al corposo faldone un altro studio, l’ennesima elaborazione da presentare in un prossimo ed eventuale convegno. Bensì “mettere a terra gli studi”, definire una norma che contempli i problemi comuni a tutti i territori montani.

A poco o a nulla sono serviti i ministri con delega alla montagna, le cento commissioni o gli Stati generali promossi più di recente dagli ex ministri Erika Stefani e Francesco Boccia, La Gelmini vuole andare la sodo. Definire una proposta di legge in tempi strettissimi. Evitare nuovi interventi a pioggia. “Quei 15 milioni l’anno che arrivano alle Comunità finora sono serviti a poco – riprende il primo cittadino di Edolo – nel vecchio Pnrr del governo Conte la parola montagna non era stata scritta. Ora c’è è abbiamo aggiunto uno zero, 145 milioni che ricadranno su 30 “aree green”. Stiamo definendo i criteri e lo faremo partendo dalle risorse. Ci sarà un bando specifico per stabilire chi avrà a queste risorse”.

La montagna non ha ancora una sua ben precisa connotazione ma non è solo al Nord. Non si può ragionare solo in altezza, conteranno anche altri principi nella distribuzione delle risorse. Il Mezzogiorno farà bene però a tenere le antenne in funzione e a fare di tutto per trarne dei benefici. Nella nuova legge si ipotizzano infatti defiscalizzazioni e sconti su Imu e Irap, (per le zone dove sono presenti centrali idroelettriche che hanno alterato in modo irreparabile la morfologia del territorio). Le Zes, zone economiche speciali verranno estese alle Alpi e agli Appennini, si potranno istituire inoltre nuovi Istituti tecnici (Its) abbassando la soglia minima di studenti da 20 a 15. Tra le ipotesi anche una fiscalità di vantaggio per artigiani e commercianti che esercitano la loro attività in condizioni di particolare svantaggio.


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Fabio Grandinetti

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