REGGIO CALABRIA – La richiesta di interdittiva antimafia sta sul tavolo del Prefetto ormai da alcuni giorni. Vittorio Piscitelli ed i suoi collaboratori la stanno analizzando dal punto di vista giuridico. Ed è possibile che alla prima occasione utile sarà sottoposta al Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica. Si deciderà a breve. E se la decisione sarà quella di togliere il certificato antimafia alla Reggina Calcio spa, Lillo Foti e il Cda della società si troveranno ad affrontare una brutta gatta da pelare. Non tanto per le conseguenze sul campionato di calcio, quanto in relazione alla concessione firmata con il Comune di Reggio Calabria per la gestione dello stadio “Oreste Granillo”.
Una concessione che Palazzo san Giorgio sarebbe costretto a revocare, con tutto quello che ne consegue. La Reggina paga in maniera indiretta le grane giudiziarie del suo ex vice presidente Gianni Remo, finito al centro di un’inchiesta della magistratura. Un’inchiesta che, neanche a farlo a posta, riguarda i suoi rapporti con il clan Labate, cosca storicamente insediata nel quartiere Gebbione, lo stesso rione in cui sorge il “Granillo”.
L’indagine che alcuni mesi addietro coinvolse Remo riguarda il settore della commercializzazione delle carni. Secondo quanto appurato dal pm Stefano Musolino, infatti i Labate per convincere i commercianti della città a piegarsi ai loro interessi non esitavano a minacciarli in maniera più o meno velata. Erano loro i padroni di quel settore, i Labate e i loro parenti. E tra i parenti c’è proprio Gianni Remo, allora vice presidente della Reggina Calcio, e suo fratello Pasquale, finiti in manette assieme al boss Michele Labate.
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