Binari ferroviari
6 minuti per la letturaCROTONE – E’ un settore, quello delle costruzioni ferroviarie, su cui la ‘ndrangheta ha da tempo messo le mani, tanto da proiettarsi non solo in Nord Italia ma anche all’estero.
Se ne riparla dopo che è balzata all’attenzione delle cronache la vicenda che ha determinato il “passo di lato” di Maria Antonietta Ventura, la candidata alla presidenza del centrosinistra per le elezioni regionali ritiratasi in seguito all’interdittiva emessa dalla Prefettura di Lecce nei confronti della Fersalento srl, riconducibile al gruppo della famiglia di imprenditori paolani che ha avuto rapporti commerciali con la Nicofer srl, finita sotto la lente di almeno tre Dda, quelle di Venezia, Bologna e Brescia.
Se ne parla, per esempio, nell’inchiesta che un anno fa portò all’operazione Isola scaligera, contro il “locale” di ‘ndrangheta di Verona al cui vertice sarebbe la famiglia Giardino di Isola Capo Rizzuto, ritenuta una filiale al Nord delle cosche Arena e Nicoscia. L’impresa rientrerebbe in un panorama di avviate società, tra cui per esempio Giar.Fer, gestite dai Giardino di Sona, nel Veronese, ai quali i Nicoscia sono legati anche da parentele dirette. Ma il tema dei tentacoli sul business dei binari al Nord, e in Veneto in particolare, è stato oggetto anche di interrogazioni parlamentari dopo che il contesto venne scoperchiato, nel 2016, con l’operazione Premium Deal in cui vennero coinvolti personaggi a loro volta implicati nell’inchiesta Aemilia, da cui è scaturito il processo più grande contro le mafie al Nord e avente ad oggetto l’articolazione emiliana della super cosca di Cutro, guidata dal capocrimine ergastolano Nicolino Grande Aracri, una cui cellula è pervasivamente operativa anche in Veneto.
Un «collegamento imprenditoriale» tra i Giardino e i Nicoscia, in particolare, sarebbe rappresentato, secondo gli inquirenti veneti, dal fatto che Francesco Nicoscia, prima di divenire dipendente dell’impresa del fratello minore Daniel, ha prestato la propria opera per la Giar.fer riconducibile a Domenico Giardino, ma anche ad Alfonso, Antonio e Vincenzo Giardino. Anche Daniel Nicoscia, prima di costituire la Nicofer, risulta aver lavorato per un’unica impresa, Cosfer, anch’essa riconducibile alla famiglia Giardino. E poi ci sono Immobiliare Pugliese srl, in liquidazione dal 2014, i cui soci sono Teresa Pugliese, moglie di Domenico Giardino, e la figlia Anna Rosa Giardino, moglie di Francesco Nicoscia, fratello di Daniel e amministratore della Nicofer. Ma c’è anche FerVeneto, costituita nel 2010 da Francesco Nicoscia e Vincenzo Giardino, la cui quota minoritaria poi passò a Alfonso e Domenico Giardino e a Saverio Nicoscia. Co.Veneto srl, invece, fu fondata nel 2011 da Domenico Giardino e Francesco Nicoscia e ceduta a Salvatore Garofalo, nipote di Gaetano Garofalo, destinatario della misura cautelare dell’obbligo di dimora nell’ambito dell’operazione Premium Deal.
E ancora: Arma.Fer, esercente l’attività di costruzione di edifici residenziali, costituita nel 2009 con sede a Isola Capo Rizzuto, poi messa in liquidazione: amministratore unico Antonio Falcone, socio al 40%, che poi divenne liquidatore. Ma Francesco Nicoscia aveva il 50% e Vincenzo Giardino il 10%.
L’elenco delle società rientranti nella galassia degli interessi economici intercorrenti tra i Giardino e i Nicoscia nel Veronese potrebbe proseguire ma qui basti ricordare che Antonella Vittimberga, madre di Daniel Nicoscia, riveste la carica di amministratore della Immobiliare Veneto con sede a Sona, in via Piemonte 13: è la sede originaria di Nicofer. Anche la comparsa di personaggi esterni non ha smentito, secondo la rcostruzione degli inquirenti, la riconducibilità delle imprese ai Giardino Nicoscia, poiché sia Gaetano Garofalo che Eliseo Ventura sono stati coinvolti nell’operazione Premium Deal in qualità di prestanome. L’intreccio di interessi prosegue in Slovacchia: Saverio Nicoscia, infatti, è titolare di Ferrovia Sk sro, con sede legale a Bratislava, allo stesso indirizzo, Cintoriska 22, in cui è registrata la sede di Agency Contact Sk sro, detenuta e amministrata da Alfonso Giardino.
Di Nico.Fer srl il cui titolare è indicato nell’imprenditore veronese Moreno Nicolis, con sede a Verona, in via Turbina 56, operante nel settore del commercio all’ingrosso di metalli ferrosi, si parla nelle carte di Aemilia. Nicolis è stato peraltro assolto nel processo Pesci, contro la costola mantovana della cosca Grande Aracri, dall’accusa di estorsione con aggravante mafiosa. Ma rispunta nell’inchiesta Aemilia perché era in rapporti con uno dei plenipotenziari della super cosca calabro-emiliana, ovvero quell’Antonio Gualtieri che ne era la mente economica. Nicolis prospettò proprio a Gualtieri il progetto di acquisizione del patrimonio immobiliare derivante dal fallimento Rizzi, pendente presso il Tribunale fallimentare di Verona.
L’organizzazione ‘ndranghetista emiliana intravide, dall’eventuale acquisizione dei beni immobili fallimentari e delle aree ex industriali ubicate tra la Gardesana e Verona, la possibilità di ricavare ingenti introiti, ammontanti a diversi milioni di euro, che potevano derivare dalle vendite degli immobili (per alcuni beni risultavano interessati compratori russi non meglio identificati).
L’operazione finanziaria coinvolse sin da subito tre soggetti: il sodalizio emiliano rappresentato da Gualtieri e da Francesco Lamanna, capo della cellula mantovana, che si sarebbe avvalso della collaborazione di Nicolis, la famiglia Galasso Larosa gravitante nel Veronese e riconducibile al clan Facchineri di Cittanova e una terza “testa” da reperire in itinere.
L’intenzione di Gualtieri sarebbe stata quella di destinare parte delle ingenti somme, eventualmente introitate, direttamente al boss Grande Aracri, che ebbe parte attiva nell ‘operazione, avendo dato il suo benestare il primo marzo 2012 durante la sua visita nello studio della consulente finanziaria bolognese Roberta Tattini. L’ interesse nell’affaire da parte della cellula emiliana del clan cutrese emergerebbe anche perché Gualtieri delega Nicolis a seguire un’ importante operazione: «ascolta un poco… vedi che a te ti delego a prenderti tutte le responsabilità di tulla quella operazione lì…comunque tu sappi che io domani mi incontro e all’incontro determiniamo tutte le virgole, ok?».
L’ immagine delineata dalle indagini è quella di uno «spregiudicato imprenditore del ferro veronese», osservano gli inquirenti emiliani, che, «non è del tutto chiaro se per disperazione o per cupidigia», è in contatto con la famiglia ‘ndranghetista dei Galasso, operante nel Veneto, per poi entrare in affari anche con il clan Grande Aracri, dapprima progettando la fornitura di ferro per la realizzazione di pale eoliche in Calabria, appetitissima per i fondi Ue che finanziavano questo genere di lavori, poi per inserirsi nel fallimento Rizzi.
Nicolis lo ritroviamo nell’inchiesta condotta dalla Dda di Brescia che portò all’operazione Pesci, una delle tre scattate nel gennaio 2015 contro la super cosca di Cutro (le altre erano Aemilia e Kyterion) appunto in relazione al fallimento Rizzi, consistente nell’acquisizione del complesso immobiliare dell’omonima procedura costituito da beni immobili e aree ex industriali ubicate tra il Lago di Garda e Verona.
L’affare era stato proposto proprio da Nicolis a Gualtieri e quindi viene trattato con interesse da Grande Aracri, tant’è che la fattibilità del progetto fu affidata alla cura di Paolo Signifredi, il commercialista lombardo che poi divenne collaboratore di giustizia. In questo contesto Nicolis fu portato direttamente al cospetto di Grande Aracri, nella ormai famigerata tavernetta di contrada Scarazze, a Cutro, dov’era il suo quartier generale, sul finire del 2011, come attestato dalla conversazione intercettata all’interno dell’autovettura Audi “A7” di Gualtieri nel corso della quale i tre parlano della possibilità di far eseguire appunto a Nicolis la fornitura di ferro per la costruzione delle pale eoliclie in corso di realizzazione in Calabria per rilevanti importi.
Ecco come si esprimeva il mammasantissima: «allora adesso ne parlo con il commercialista e con Antonio, vediamo, prima ne parliamo tra di noi e poi decidiamo quello che si deve fare». E Nicolis acconsente: «va bene». «Sicuramente faremo qualche cosa». Gualtieri: «bisogna giocare sulla quantità». E Nicolis precisa: «se è un punto su dieci è un punto su dieci, ma se è un punto su 1.000». Grande Aracri, però, pensava in grande: «vediamo di prendere tutto… Crotone, Catanzaro, Reggio Calabria, le dobbiamo prendere tutte queste». Nicolis ci sta, del resto Gualtieri in un altro brano captato dagli inquirenti lo definisce come «amico degli amici».
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