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VIBO VALENTIA – “Pizzini” per comunicare all’esterno del carcere, ma anche dubbi sul “cambio di rotta” di alcuni testimoni nel corso del processo contro il clan vibonese dei Soriano. E’ stata un’udienza particolarmente intensa quella celebrata per l’operazione “Ragno” che vede alla sbarra otto componenti del clan Soriano di Pizzinni di Filandari, nel Vibonese. Il procedimento penale si sta celebrando presso l’aula bunker del nuovo palazzo di giustizia a Vibo Valentia. Gli imputati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa finalizzata alle estorsioni, danneggiamenti, armi, minacce e altro.
I TESTIMONI ACCUSANO GLI INQUIRENTI. Ad alimentare l’udienza ci hanno pensato due testimoni. Si sono presentati in aula, affermando di non riconoscere i verbali delle loro dichiarazioni e sostenendo che queste sarebbero state modificate dagli inquirenti. E’ accaduto nel corso del processo “Ragno”, dove il pm Simona Rossi ha disposto la trasmissione alla Procura distrettuale dei verbali e delle dichiarazioni rese in aula.
I “PIZZINI” PER COMUNICARE ALL’ESTERNO. Ma non è tutto. Perché nel corso dell’udienza è emerso che i presunti componenti della cosca Soriano di Filandari avrebbero cercato di comunicare fra di loro, pur in regime di detenzione carceraria, attraverso lo scambio di “pizzini”. Attraverso le testimonianze di alcuni agenti della polizia penitenziaria in servizio nel reparto di “Alta sicurezza” del carcere di Vivo Valentia, è stato in particolare ricostruito il tentativo di Gaetano Soriano (,nell’ottobre del 2011 detenuto a Vibo ed ora in regime di carcere duro (41 bis) nel penitenziario di Sulmona), di far giungere alla cognata Rosetta Lopreiato, moglie del presunto boss Leone Soriano ed anche lei imputata nel processo, un “pizzino” di carta con dei messaggi. Il bigliettino di carta era stato passato al vibonese Francesco Scrugli – questi poi ucciso il 21 marzo 2012 nella faida con i Piscopisani – il quale, alla richiesta di consegna da parte della polizia penitenziaria, l’aveva però prontamente strappato e gettato in un cestino dei rifiuti. Ricomposto dagli stessi agenti della polizia penitenziaria, il “pizzino”, contenente indicazioni per avvicinare alcuni testi del processo e farli ritrattare, è stato quindi consegnato alla Dda di Catanzaro. Francesco Scrugli, all’atto della perquisizione, stava per lasciare il carcere di Vibo avendo all’epoca riacquistato la libertà.
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