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VIGGIANO – La notte ti guarda come un occhio indiscreto. Di giorno la sua fiamma domina tutta la vallata. Visto dall’alto, il Centro Oli di Viggiano, con l’area industriale che si estende intorno, sembra un squarcio inferto a quel polmone verde che fa da cornice agli insediamenti. Fino a pochi metri prima di arrivare ai cancelli Eni è come essere immersi in aperta campagna. Uliveti, vigneti e altri tipi di colture che un tempo erano i settori trainati dell’economia locale continuano a convivere con le estrazioni. Ma a fatica.
I prodotti dei campi dove sgorga il petrolio, “nessuno li vuole più”
Le attività agricole e gli allevamenti inevitabilmente hanno risentito della presenza delle multinazionali del petrolio. “Quello che viene prodotto in questi campi ormai non ha più valore”, spiega Nino Marchionna. Abita proprio lì vicino, mentre i suoi vigneti si trovano poco oltre. “Dicono che inquinamento non ce ne sia. Ma il primo a non crederci sono io. Le ho viste con i miei occhi quelle fiammate che più di una volta si sono alzate dalla torcia. Convivo con il rumore e il cattivo odore. E questo basterebbe a mettere in fuga chiunque. Da qui ma ne andrei volentieri. Ma oggi questi terreni non valgono niente”. Non è un agricoltore. Vive di altro. Precisamente è uno degli operai che hanno trovato impiego con il progetto assegnato dal Comune al Parco della Val d’Agri. Un milione di euro di royalty per circa una cinquantina di dipendenti che si svolgono attività di tutela ambientale e prevenzione del rischio idrogeologico. “Ma le giornate pagate – dice – sono state solo 92. Inoltre il progetto è finito”. Il Comune lo ha prorogato per un altro anno e molto probabilmente continuerà a farlo fino a quando ci sarà disponibilità di royalty. “Ma per ora – aggiunge – non è ancora ripartito. Evidentemente questo non essere considerato un vero e proprio lavoro”.
“Per noi imprese, dal petrolio nessun vantaggio”
Il vero cuore dell’economia, dai campi si è spostato altrove. Ovvero proprio nell’area industriale. E non solo nell’indotto del petrolio, dove solo da qualche anno si vede qualche segnale più rassicurante in fatto di risvolti occupazionali. Vicino al Centro Oli ci sono altre aziende. Alcune hanno chiuso, ma altre sono attive e rappresentano anche delle buone realtà produttive. Con il petrolio non hanno nulla a che fare. Come la Vibac che dà lavoro a circa 300 operai, quasi tutti dell’area. O la Elbe, che produce alberi e giunti cardanici soprattutto per auto. Azienda tedesca impiega circa una novantina di lavoratori, anche in questo caso per lo più della Valle. Qualche anno fa un decina di operai finirino al pronto soccorso di Villa d’Agri denunciando un’intossicazione da idrogeno solforato, a causa di un’“anomalia” al Centro Oli. A parte questo, con le aziende della filiera estrattiva non hanno nulla da spartire. Per loro il petrolio non si è tradotto in alcun vantaggio. Il direttore dello stabilimento Giacinto Maria Genco spiega: “Fare impresa a Viggiano è esattamente come farlo in qualsiasi altro posto della Basilicata. Vantaggi particolari non ce ne sono”. Non per un’azienda di queste dimensioni. “La maggior parte dei bandi del Comune e anche della stessa Regione – spiega ancora il direttore – sono rivolti per lo più a piccole e medie imprese. Ma noi non rientriamo in questa categoria”. Per il resto non ci sono molte mucche da mungere. Anzi.
Qui dove il metano è ancora un sogno e l’Adsl va a singhiozzi
Nel regno del petrolio la più grossa incongruenza è una: da queste parti ancora non c’è neppure il metano. “Andiamo avanti con il Gpl”, dice Genco. L’altra stortura che salta subito agli occhi è quella relativa alla viabilità: il manto stradale della area industriale del colosso Eni è un colabrodo. Il Comune dice che spetterebbe all’Asi occuparsi di questo tipo di lavori nell’area industriale che per altro è perfettamente divisa in due tra due comuni, Viggiano e Grumento. E sempre il Consorzio è responsabile di un altro grosso disagio. La Elbe – come molte altre fabbriche della zona – è costretta a usare acqua potabile, perché quella industriale contiene sostanze corrosive degli impianti. Uno spreco oltre che un costo notevolmente superiore. E non va meglio in fatto di infrastrutture immateriali: “L’Adsl qui non va a singhiozzo. Se non avessimo una linea dedicata sarebbe un grosso problema”. Sia Viggiano che Grumento hanno attivato due reti Wifi gratuite. Ma gli imprenditori non vi hanno accesso. E per stare alle cose più semplici, chi ha bisogno di fare bancomat – fanno notare ancora nello stabilimento – è costretto a spostarsi in paese, a Viggiano o a Villa d’Agri. Perché qui lo sportello non funziona quasi mai.
Usciamo dalla Elbe, per entrare in un’altra bella azienda. E’ la Litoforme di Angelo Pessolano. Lavora manufatti in marmo e, tanto per intenderci, è quella che ha realizzato la pavimentazione della nuova piazza Prefettura di Potenza. Ha dimensione più piccole. Circa una decina gli operai a cui si aggiunge qualche unità che si occupa della parte amministrativa. Insomma, è una di quelle aziende che in teoria potrebbero avere accesso i bandi di cui si parlava prima. Il titolare dice: “Non sono tra coloro che sostengono che non sia stato fatto nulla. Per esempio c’è l’incubatore di Sviluppo Basilicata che per me è una buona cosa ma che rimane poco utilizzato perché c’è poca domanda”. Più che altro, per Pessolano “speso le cose fatte non sono quelle giuste. O comunque non rispondono alle reali esigenze di imprenditore. Si tratta di strumenti concepiti male. Penso a quelli del Comune ma anche della Regione”.
Soldi per ristrutturare? Dateci vetrine distributori di metano
Il titolare della Litoforme fa esempi chiari: “Personalmente ritengo che i soliti contributi per l’acquisto di macchine e per l’aumento della produzione siano poco utili. Mi piacerebbe che l’aiuto pubblico fosse indirizzato a generare domanda, a spostare i prodotti fuori, promuoverli sui mercati che contano. Un po’ come è stato fatto per quella ristretta nicchia del vino lucano. Che ne so, penso all’acquisto di un palazzo a Linate. Una vetrina dove agevolare l’incontro produzione lucana – domanda internazionale”. Di idee ne ha anche un’altra: invece di rassegnarsi a contentini “chiedere a Eni, con l’iniziativa pubblica, una quindicina di distributori di metano, stimolando un trasporto più “pulito” con un indubbio vantaggio in termini economici: per le famiglie si tratterebbe di un risparmio di quasi 4 mila euro all’anno. Mica male, no, invece dei 90 euro della card benzina”.
“Il problema? – dice a fine visita – Questa classe dirigente non sempre è stata all’altezza della sfida”.
m.labanca@luedi.it
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