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Il Consiglio regionale della Calabria

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Il ritiro della candidata governatrice di Pd e M5S, Maria Antonietta Ventura, è un incidente di percorso per l’alleanza che l’aveva proposta, ma anche per i contenuti della campagna elettorale.

Ancora prima dell’annuncio da parte della Ventura che aveva deciso di “fare un passo di lato” per evitare strumentalizzazioni (LEGGI), ancora prima che le ipotesi su questa scelta si concentrassero su questioni in qualche modo riferibili alla legalità (per fatti che non la riguarderebbero, comunque, personalmente), la parola legalità, appunto, era stata già abbondantemente utilizzata da diverse forze politiche in questi primi passi verso le elezioni regionali previste per l’autunno.

Il fatto è, per farla breve, che questa bandiera comincia ad essere sbiadita per quante volte viene esposta e sventolata.

Con la sola legalità questa terra non va da nessuna parte. Intanto perché legalità fa rima con ovvietà. Chi ha mai sentito, in una qualsiasi campagna elettorale, qualcuno che predica illegalità e propone programmi che vanno in questa direzione? Che vuol dire legalità, nel senso in cui viene evocata e promessa? Forse che se vincono rispetteranno la legge? Che non faranno imbrogli? Che già in questa fase non esercitano il vecchio rituale delle promesse in cambio di voti? E quando mai si è visto che basta un impegno per la legalità per essere rassicuranti? E, poi, rassicuranti su che cosa? Sull’ovvio, appunto.

La storia recente di questa regione ci dice chiaramente che il malaffare politico-istituzionale è come le bugie con le gambe corte. E, comunque, per inchieste, giudizi e, soprattutto eventuali sentenze definitive, c’è un potere dello Stato che fisiologicamente fa quello.

Allora, diamo per scontato che tutti i candidati (aspiranti governatori, aspiranti consiglieri, aspiranti assessori più o meno in pectore) siano fedeli al credo della legalità. E voltiamo pagina.

Andiamo avanti negli scarni (al momento) libricini dei programmi e facciamo in modo che un elettore possa essere incoraggiato ad andare a votare non per questo o quel paladino della legalità (rieccola, viene proprio facile ricorrere a questa parola), ma perché potrebbe aver individuato qualche traccia potenziale di competenza, efficienza, capacità. Potenziale perché, esattamente come per la legalità (…), il banco di prova verrà dopo. Ma almeno ci diano un segnale a cui appigliarci.

La ‘ndrangheta, i colletti bianchi, i colletti grigi, la corruzione, le mazzette… sappiamo tutto: ci sono, hanno fatto danni incommensurabili e continuano a sottrarci ogni giorno un pezzetto di futuro.

Ma con una promessa elettorale non si va da nessuna parte. In quelle pagine bianche dei libricini potrebbero trovare uno spazietto le grandi ed eterne emergenze di questa regione: il sistema dello smaltimento dei rifiuti, la sanità, la burocrazia infettata degli uffici regionali e via dicendo. Il lavoro no, per favore.

Gli amministratori regionali non danno lavoro (se non quello pubblico offerto nei decenni, in qualsiasi forma, in cambio di voti). Devono creare le condizioni, nelle materie in cui possono operare, perché le opportunità di lavoro siano facilitate. Ed è inutile dilungarsi.

Un’ultima volta: legalità. Bene, visto che i calabresi sono carenti di banda larga ultraveloce (in Sila, per la verità, in alcuni punti non c’è neanche la linea per il telefonino), di strade “normali” (che Province e Comuni non hanno soldi lo si capisce dalle buche nell’asfalto) e tutte le altre cose che sappiamo, ma non di udito e vista, allora diamoci un taglio. Basta ovvietà. Con queste si resta fermi al palo. E prima o poi anche le piazze se ne accorgono.

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Fabio Grandinetti

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