Il governatore del Veneto, Luca Zaia, con il presidente della Conferenza Stato Regioni Fedriga
3 minuti per la letturaPUO’ apparire sorprendente che il sindaco di una grande città come Bologna, il quale opera in una Regione che gestisce la propria autonomia in modo ritenuto esemplare e che rivendica nei confronti dello Stato ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, affermi, evidentemente sulla base dell’esperienza di amministratore locale, che “il centralismo delle Regioni si è aggiunto a quello dello Stato”.
Questo giudizio non può essere il frutto di una contrapposizione politica, giacché le due amministrazioni, regionale e comunale, hanno come riferimento il medesimo partito. Piuttosto manifesta un genuino disagio rispetto al funzionamento del sistema delle autonomie, che pure la Costituzione pone tra i principi fondamentali assieme al decentramento delle funzioni statali, con l’obiettivo di avvicinare le pubbliche amministrazioni ai cittadini, di far funzionare meglio i controlli democratici, di renderne trasparente l’azione, di semplificare procedure e peso della burocrazia.
In questa prospettiva le Regioni avrebbero dovuto essere prevalentemente un livello di governo che programma e coordina, ma a sua volta decentra e delega attività amministrative e gestione ai Comuni, i quali sono immediatamente legati al territorio. L’esperienza mostra, invece, che non è proprio così. La struttura e lo stile burocratici della tradizione statale sembrano il più delle volte clonati e replicati dalle Regioni, con in più una endemica e crescente conflittualità con lo Stato.
A venti anni dalla riforma del Titolo V della Costituzione, che ha ridisegnato ed ampliato le competenze regionali, ma ha anche portato dinanzi alla Corte costituzionale un gran numero di controversie tra Stato e Regioni, sarebbe opportuna una riflessione per verificare ciò che ha funzionato e quali correttivi occorre invece introdurre per assicurare l’efficienza delle istituzioni nei diversi livelli di rappresentanza politica e di gestione amministrativa: Stato, Regioni, Enti locali territoriali.
I tempi per porre mano ad una pur limitata revisione costituzionale non sarebbero brevi, anche se ci fosse l’indispensabile accordo politico, mentre nel contesto attuale è necessario dare immediatamente attuazione al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), nei tempi stabiliti dalla disciplina europea. Mantenere consolidate vischiosità burocratiche e rivendicazioni o conflitti tra Stato, Regioni ed Enti locali, che solitamente determinano ostruzioni o ritardi, significherebbe perdere le risorse europee assegnate al nostro Paese.
La riforma della pubblica amministrazione, che è tra le condizioni essenziali di funzionamento del Piano, non riguarda solamente gli apparati burocratici, ma la funzione pubblica nel suo complesso, compreso il raccordo tra i diversi livelli di governo e di amministrazione. Sotto quest’ultimo punto di vista gli annunci non suscitano ottimismo. Regioni e Comuni rivendicano un loro protagonismo come condizione per l’efficace attuazione del Piano e, come è naturale, tutti aspirano a sedersi a un tavolo di ripartizione delle risorse, candidandosi alla loro gestione.
Forse è bene avere una visione diversa. La responsabilità della realizzazione dei progetti, presentati dal governo alle istituzioni europee, e della loro attuazione è dello Stato. In una logica di sistema ben venga la leale cooperazione delle Regioni e degli Enti locali, ma in un quadro, con modalità e procedure che lo Stato definisce, e per realizzare opere di rilievo nazionale, che lo Stato promuove, finanzia con le risorse assegnate al Piano, realizza o controlla, rendiconta alle istituzioni comunitarie.
È anche una occasione per rendere efficiente il funzionamento delle amministrazioni pubbliche, compresi gli snodi che riguardano i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie, nel loro complessivo funzionamento.
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