Carmine Zappia, l'imprenditore di Nicotera che ha denunciato i suoi aguzzini
3 minuti per la letturaVIBO VALENTIA – «Sono fuori dall’incubo in cui ero precipitato, grazie alle Istituzioni e alle forze dell’ordine».
Non nasconde la sua soddisfazione, Carmine Zappia, l’imprenditore nicoterese vittima di usura e racket, testimone di giustizia di Nicotera e parte offesa nel processo nato dall’operazione “Maqlub“, nel commentare la sentenza del Tribunale collegiale di Vibo per la pena inflitta ad Antonio Mancuso, boss dell’omonimo clan di Limbadi, condannato a 10 anni e 6 mesi di reclusione per l’estorsione ai danni dell’imprenditore.
«Mi aspettavo la pena inflitta – ha commentato l’interessato – testimonianza viva che lo Stato dà risposte, non abbandona e denunciare è l’unica via per combattere la criminalità organizzata».
Due invece le assoluzioni per non aver commesso il fatto, rimediate da Andrea Campisi, 38 anni, di Nicotera, per il quale il pm della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, aveva chiesto 9 anni e 6 mesi di reclusione, più 7mila euro di multa, e Francesco D’Ambrosio, 41 anni, anche lui di Nicotera, per il quale era stata avanzata una richiesta di 3 anni e 4 mesi di reclusione. Andrea Campisi era difeso dall’avvocato Giuseppe Grande e Francesco D’Ambrosio dagli avvocati Francesco Sabatino e Antonio Cosentino.
Mancuso, invece, difeso dall’avvocato Giuseppe Di Renzo, è stato anche condannato all’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e al risarcimento del danno cagionato alle parti civili: Carmine, Giulia e Antonio Zappia, assistiti dall’avvocato Giovanna Fronte, la Provincia e la Regione.
L’indagine, che ha portato alla condanna dell’esponente della famiglia Mancuso, ha avuto inizio nel 2019 con intercettazioni telefoniche, ambientali e pedinamenti, a seguito della denuncia dell’imprenditore di Nicotera, per cui l’inizio dell’incubo è datato maggio 2011, dopo l’acquisto di un immobile su due piani fuori terra a Nicotera, per la cifra di 400mila euro: «Quello che doveva essere un investimento – ha spiegato Zappia – si è purtroppo rivelato una trappola impensabile»; 200 mila euro sarebbero state consegnate subito da Zappia al venditore, per la parte restante si era invece pattuito un saldo periodico senza termini temporali, salvo poi, effettuata la compravendita con regolare consegna delle 200 mila euro iniziali, subire richieste immediate del totale importo: «Ho intuito subito che qualcosa non andava – ha sottolineato l’imprenditore nicoterese – e che da quel momento in poi avrei avuto a che fare con degli aguzzini».
In effetti, Zappia si è subito ritrovato a “trattare” con Antonio Mancuso, il quale informava il commerciante di aver rilevato il credito restante: «Ho vissuto anni difficili ed ho perso tutto – ha proseguito – All’inizio ho versato 15mila euro ogni 3 mesi, poi non riuscivo e faticavo a vedere una via d’uscita.
All’usura e all’estorsione si erano aggiunte anche delle minacce verbali, oltremodo pesanti e un giorno ho avuto timore che questa storia, per me, sarebbe finita davvero male – ha sottolineato – la denuncia mi ha salvato la vita».
Oggi, Carmine Zappia, si sente un uomo libero nonostante la sua vita sia cambiata: «Vivere sotto scorta non è semplice, ma lo faccio con un senso di dignità che non ha eguali e mi sento un uomo fiero. Le mie attività sono il frutto di una vita dedita al lavoro onesto e oggi posso dire di averle tutelate, così come la mia vita, denunciando il malaffare».
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