Huda Lahoual
7 minuti per la letturaHuda Lahoual di origine marocchina, nata e cresciuta in un paesino della Brianza, ha solo 17 anni, ma come l’araba fenice è già risorta dalle proprie ceneri. La sua personale rinascita è partita dai capelli, bruciati da anni e anni di stiratura chimica.
Perché pur di sembrare come gli altri, pur di farsi accettare, Huda piastrava i ricci afro, schiariva la pelle col trucco e si lavava fino a grattarsi la pelle, perché le mamme delle compagne di classe non le chiedessero più: “Ma ti lavi?”.
Poi, un giorno di due anni fa, ormai quindicenne, ha detto basta: in una diretta live sul suo profilo Instagram, di fronte alle sue decine di migliaia di followers ha preso la macchinetta e si è rasata a zero. Un gesto catartico col quale ha voluto spogliarsi degli anni di frustrazioni, insicurezze, umiliazioni.
Per ritrovare l’immagine di sé stessa e, questa volta, volersi bene. Trovato il coraggio, Huda (che in arabo significa luce della buona strada) ha deciso di spargerlo a piene mani, tramite i social, parlando con gli altri ragazzi di razzismo, bullismo, discriminazione.
«Perché preoccupandomi dei miei problemi ho capito che ci sono persone che ne hanno di più grandi e che sono più in difficoltà di quanto sia capitato a me. E allora non potevo restare indifferente. Instagram per questo è stata un’arma eccezionale», spiega lei.
Chiedo a Huda: Perché ti sei rivolta ai social?
«Già dalle elementari ti insegnano che se assisti a una scena di bullismo, devi intervenire. Io ho cominciato a informarmi e ho capito che siamo nel 2021 ma c’è tanta discriminazione. Non volevo essere complice. Qui da me, un paesino di 4000 abitanti, ne parlavo agli amici. Ma vedevo che alla maggior parte importava poco. Le persone spesso non erano informate, se ne fregano delle questioni sociali. Mi dava fastidio che nessuno sapesse nulla. Pensavano: “Ma di cosa sta parlando sta pazza?”. Glielo leggevo in faccia. E allora mi sono rivolta alla rete. Lì sapevo di potermi aprire al vasto mondo e avrei trovato il confronto che cercavo. Sul mio profilo Instagram avevo sempre postato le solite cose: tramonti, cuccioli, serate con gli amici. Mi sono scoperta femminista e quindi ho aperto un altro profilo in cui condividevo notizie sulla questione femminile e ne parlavo con i followers. Pian piano ho cominciato ad allargare il discorso su tutte le questioni che mi stavano a cuore. Quindi, ho capito che quel profilo rifletteva chi ero davvero. E così ho fatto a meno dei tramonti. Ho aperto un nuovo profilo “Riphuda” e ho iniziato a parlare di tutto».
I followers hanno cominciato ad apprezzarti e a crescere.
«Sì. Ci sono tanti ragazzi come me, sensibili alle questioni del mondo. È stato bellissimo. Ho creato una rubrica in cui chiedevo ai miei seguaci di raccontare esperienze personali e sono uscite tantissime storie. Spesso mi chiedono consigli, soprattutto le ragazze della mia età, ma nel confronto con i followers sto crescendo anche io. In questi due anni mi sono liberata e ho fatto tanta strada, dopo anni di batoste su batoste».
Parlami delle batoste, che ti è successo?
«In famiglia siamo cinque figli, ho due sorelle più grandi e un fratellino e una sorellina più piccoli. Le mie sorelle grandi hanno la carnagione più chiara della mia e tutti hanno i capelli lisci. Io sola, con i tratti, i capelli afro, ero completamente esposta alle discriminazioni. Fin dalle elementari ero considerata diversa, mi urlavano dietro di tutto. Mi dicevano lavati i capelli, sei nera e sporca. Oppure non gioco con te, hai le pulci. Non solo i bambini, ma anche le mamme: che capelli che hai? Ma ti pettini? Ti lavi? Sembra incredibile ma è così. A sei anni se un adulto ti dice queste cose, ci credi. Ho cominciato a lavarmi di continuo, avrei voluto grattare via la pelle, mi pettinavo fino a strapparmi i capelli. Appena sono cresciuta un po’ ho cominciato a stirarmeli con la piastrazione chimica: meglio bruciati ma lisci. Rubavo i fondotinta più chiari delle mie sorelle grandi per schiarirmi il viso. Ma non serviva a niente, io ero sempre quella diversa. Un giorno un amico della mia migliore amica incontrandoci baciò lei e a me diede a malapena la mano. Mi disse che per lui non ero neanche una donna. Rimasi shoccata. Facevo di tutto per farmi accettare ma non serviva a niente».
E quindi?
«Pian piano mi ero chiusa in me stessa. Uscivo sempre meno di casa, mi rifiutavo di incontrare gente nuova per timore di possibili reazioni che mi potessero ulteriormente ferire. Ma, soprattutto, pensavo che tutto questo non potesse mai cambiare, ero completamente rassegnata a subire».
I tuoi si erano resi conto della tua situazione?
«No. Siamo cinque figli, c’erano ben altri problemi che stare appresso a un’adolescente chiusa. E poi, in famiglia ero abbastanza insopportabile. Con le mie sorelle ero scontrosa, dispettosa. Era un modo per chiedere aiuto, ma difficile da decifrare. Condividevo la camera con i miei fratellini piccoli, le mie sorelle maggiori stavano in un’altra. E chiuse le porte delle stanze, eravamo mondi che non comunicavano. Ma quando due anni fa, ho deciso di reagire, del cambiamento si sono accorti tutti».
Quando hai deciso di dire basta?
«Evidentemente doveva succedere. Il pretesto, due anni fa è stato un piccolo fatto: avevo preso dei debiti a scuola. Ho studiato per recuperare. Il 4 settembre sono usciti i risultati, e ho visto che li avevo superati. Mi sono sentita forte e quella cosa mi ha dato la spinta. Sono andata a casa e ho detto: ora mi raso a zero i capelli. Mia sorella quasi per sfida, mi ha detto: fallo! Ho preso la macchinetta. E lei: facciamo la diretta Instagram. Ho tagliato tutto di fronte ai miei followers, poi mi sono guardata allo specchio. È come se mi fossi liberata di una zavorra. Ero felice di guardarmi così, con la testa nuda, come rinata. Anche se avevo un po’ paura. Io non sapevo più com’erano i miei veri capelli. Quando hanno iniziato a crescere ho scoperto che erano bellissimi. Pian piano ho fatto pace con me stessa. E anche con le mie sorelle. Abbiamo cambiato casa e sono finita in camera con loro. Abbiamo iniziato a parlare. Ho raccontato tutto quello che avevo sofferto. Le mie sorelle sono due toste. Mi hanno abbracciato, mi hanno detto: “Quando c’è qualcosa che non ti va devi ribellarti. Se ti dicono che devi stare zitta è il momento che devi parlare”. E io l’ho fatto. Soprattutto su Instagram. Non starò mai più zitta. Ho iniziato a postare delle mie foto, perché mi sentivo bella, e sai una cosa?».
Che cosa?
«Quel tipo che mi aveva offeso, l’amico della mia migliore amica, si è fatto vivo su Instagram. Ci ha provato con me. No gli ho neanche risposto, ma è stata una bella soddisfazione. E anche a scuola, frequento il quarto anno di grafica pubblicitaria, le cose sono cambiate. Complice il successo sui social: mi chiamano scherzosamente l’influencer, ma mi guardano con occhi diversi».
Ad agosto dello scorso anno hai filmato un uomo che ti importunava pesantemente per strada e il video è diventato virale. Aprendo un dibattito sul catcalling. Come è andata esattamente?
«Erano le nove di sera. Ero scesa dal treno e stavo tornando a casa dopo una serata di lavoro in pizzeria dove facevo la cassiera. Faceva buio e un uomo in bicicletta ha cominciato ad accostarsi, a seguirmi. Me lo sentivo alle spalle e ho cominciato ad essere inquieta. Lui mi ha chiesto come mi chiamavo e poi via via ha cominciato a fare allusioni sessuali, a propormi di andare da lui a scopare. Gli chiedevo di lasciarmi stare, ma lui insisteva. Allora ho pensato che avevo in mano un’arma, il telefono. Che dovevo filmarlo. Lui non se n’è accorto, ma ho ripreso tutto. Alla fine mi ha mollata, ma quando sono tornata a casa ero agitata, respiravo a fatica, ho pianto. Avevo avuto molta paura. Lo so, è un fatto comune, ma il fatto che purtroppo è capitato a praticamente tutte le donne, nella vita, mi riempiva di rabbia. Mia sorella mi ha detto: posta il video, questa roba non deve succedere. Non pensavo, ma il filmato in pochi giorni è diventato virale, più di un milione di visualizzazioni, se n’è parlato tanto. Sono stata felice che quella mia esperienza sia servita a qualcosa».
Huda, dopo il diploma cosa farai, investirai sulla tua attività da influencer?
«Voglio andare all’università, ma sono indecisa sull’indirizzo da prendere: scienze politiche, psicologia. Ho tante passioni. Non considero il lavoro di Influencer come il mio futuro lavoro a tempo pieno. Per me è come un giornale, dove scrivo di me, dei miei interessi, condivido opinioni. Certo, non rifiuto le proposte commerciali da parte dei brand, se mi servono a guadagnare qualcosa. Quello che sogno, è essere indipendente, felice, libera. Anzi, non sogno, lo sono».
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