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Egr. Direttore,
ho letto il suo articolo odierno, e l’ho condiviso parzialmente. Lei dice che Renzi non l’ha colpita, ma che colpisce gli elettori; magari storditi dal ventennio berlusconiano, magari invece bisognosi di una estrema personalizzazione del messaggio politico, per potersi sentire fieramente rappresentati.
Io credo che ci sia un modo di destra e uno di sinistra di rispondere a questo bisogno, ammesso che esista, il bisogno, e la categoria destra/sinistra.
Il modo di destra è quello di stampare generiche etichette su un prodotto di massa, sufficientemente personalizzate da permettere l’identificazione di ciascuno, ma non abbastanza da compromettere le economia di scala.
Il modo di sinistra, e lo so di predicare al vento, è chiedere partecipazione, di promuovere ciascuno a farsi classe dirigente, invece di aspirare soltanto ad essere classe media. Non solo nella politica, ma anche nel proprio lavoro, nella propria famiglia.
Vede, la crisi italiana non si spiega con la crisi della politica. La mia sensazione è, piuttosto, che la politica sia in crisi perché è in crisi il modello di partecipazione alla vita sociale, da parte nostra.
La nostra massima ambizione è ormai trovare un posto più o meno fisso. I mille euro al mese che permettono di (soprav)vivere; pagare il fitto, le bollette, gli astucci e i quaderni. Le tasse. Finire di lavorare presto per tornare a casa a guardare la TV. Comprarsi una macchina un po’ più grande, una casa un po’ più in centro. Sentirsi normali, ma al contempo dimostrare di avercela fatta, che la nostra missione terrena si è compiuta.
Siamo in crisi perché la nostra classe media non lo è più per definizione economica, lo è per aspirazione. Non vogliamo emergere, la politica ci evita, ci ignora, e noi la ricambiamo. Abbiamo smesso di lottare, e finanche di averne voglia, forse perché abbiamo paura di perdere, ma così facendo non potremo mai vincere. Lasciamo che tutti ci passi sopra, qualunque nefandezza, basta che non ci tocchi troppo da vicino. Siamo in comunicazione l’uno con l’altro come mai nella storia dell’umanità, ma ci sentiamo isolati. Organizzare una pizza per incontrarsi al di fuori di facebook diventa un’impresa, quasi un sacrificio, un attentato alla nostra vita media. Schiacciati tra i mille ruoli, le mille responsabilità, evitiamo come la peste di doverne assumerne altri, non richiesti.
La mia idea dell’Italia, della Basilicata, è diversa. Io vedo imprenditori. Io vedo inventori. Io vedo politici di razza. Io vedo mercanti. Dove sono? In fila alla cassa del supermercato; negli autolavaggi a lustrare l’auto nuova; in salotto a guardare la TV, con i piedi sopra il tavolino e il telecomando in mano.
Usciamo dalle nostre case, incontriamoci. Usciamo dalle nostre vite medie, e viviamo.
Rinunciamo alla mediocrità e facciamoci classe dirigente. Nel senso di dirigere noi stessi e la nostra comunità verso un futuro migliore, quello che noi sceglieremo. Non importa in quale direzione, non importa al fianco di chi, non importa dove e come. Importa farlo, farlo tutti e farlo in fretta.
E’ una #propostahard, mi rendo conto. Da parte mia ho scelto da che parte stare, senza la presunzione di aver fatto la scelta migliore, aperto al confronto con altri che vorranno sentirsi ed essere come me, classe dirigente. Non serve uno stipendio alto per esserlo, non serve essere eletti da qualche parte. Basta una tessera, basta incontrarsi e confrontarsi, basta partecipare.
Non si tratta di seguire un leader. Non si tratta di spingere un carro. Si tratta di tirarlo, com’è normale che sia. Ma sul carro non c’è una persona. Non c’è un’auriga che verga chi tenta di strappare un comodo passaggio, con frustate che però non fanno male. Sul carro abbiamo un’idea, l’idea dell’Italia che abbiamo in mente, e se non lo trasciniamo noi, nessuno ce lo parcheggerà sotto casa.
Quando poi ci ritroveremo a dire o a pensare che siamo ormai ridotti all’osso, che non ci è rimasto più niente, pensiamo che una cosa ci è rimasta: il diritto di scegliere. Non è tanto,
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