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Il Comune di Vibo Valentia

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VIBO VALENTIA – Meno otto. Non è certo il dato della temperatura, né un countdown, ma il numero delle persone che sono state poste in quiescenza dal comune capoluogo.

Otto dipendenti nelle ultime 48 ore che fanno scendere le unità attualmente impiegate a palazzo Razza a 119. Più della metà rispetto a quelle originariamente in servizio ai “tempi d’oro”. Una vera e propria, nonché costante, emorragia che non è certo destinata ad arrestarsi.

Sì, perché entro la fine del 2021 un’ulteriore trentina di persone concluderà il proprio legame con l’ente locale.

E per il Comune di Vibo le aspettative non sono certo delle più rosee visto che il trend è in corso da qualche anno, andando ad incrementarsi (in maniera negativa, ovviamente) nell’ultimo biennio, con una crisi del personale ed una mancanza di turnover dovuta allo stato di dissesto finanziario.

Già nel 2019 vi è stato qualche timido ricambio, certo non sufficiente a compensare la voce “entrate” con quella “uscite”. E un ulteriore colpo all’erogazione dei servizi è arrivato con “Quota 100” che ha indotto, nel solo 2019, ben 70 dipendenti a imboccare la via della pensione anticipata. Il risultato è presto detto: Uffici al collasso.

La situazione della forza lavoro del Comune è quindi emorragica, basti pensare che alla fine dell’anno il numero scenderà sensibilmente sotto quota quando invece dovrebbe essere di 272. Praticamente, un’enormità.

Un fardello, questo della messa in quiescenza dei dipendenti con la quale si è trovata subito a che fare l’attuale amministrazione guidata dal sindaco Maria Limardo che si è affidato ad un ex dirigente dello stesso palazzo Razza affidandogli la delega al Personale: Domenico Primerano. Questi sta cercando di barcamenarsi, facendo leva sulla sua lunga esperienza per cercare di mettere una pezza ma, obiettivamente, di miracoli non se ne possono fare.

A maggior ragione se adesso, chi ha maturato gli estremi per andare in pensione ha lasciato l’attività ricorrendo a quelle ferie che altrimenti dovrebbero essere pagate da un ente il quale, essendo in dissesto, non può permettersi ulteriori spese. Molti di questi sono di categoria “A”, quindi inquadrati come “operai” e pertanto impossibilitati a ricoprire incarichi decisionali.

«In questo modo, come si può mandare avanti un assessorato o un settore?», hanno affermato alcuni dipendenti “superstiti” il cui carico di lavoro ricadrà, inevitabilmente sulle loro spalle. Le conseguenze? Sono di due tipologie e riguardano, di fatto, tutti gli uffici di “Palazzo Luigi Razza”: da un lato c’è chi si sobbarca il tutto «per spirito di servizio e senso di responsabilità» a cui fa da inevitabile contraltare chi «invece, per ripicca, si mette in malattia perché ritiene di non poter assolvere ad ulteriori carichi di lavoro», hanno aggiunto altri dipendenti, alcuni dei quali hanno maturato anche 4 mesi di ferie arretrate senza sapere con certezza quando potranno goderle.

I servizi sono ridotti all’osso e se si parla anche con gli stessi assessori si nota chiaramente lo stato di amarezza per non avere le risorse umane necessarie per erogare i servizi. Un esempio banale ma non troppo: manca addirittura il personale per l’apertura quotidiana dei sette cimiteri comunali. In altri casi mancano anche i segretari verbalizzanti delle commissioni consiliari, con gli stessi componenti dell’assemblea civica a svolgere tale funzione. È vero che in questo modo si abbassa la voce stipendi, ma da contraltare ci si trova dinnanzi ad un Comune ingessato.

Ad aggravare la situazione (come se la stessa non fosse già grave), il fatto che l’ente locale si trova impelagato nelle maglie del dissesto finanziario conclamato da ormai 8 anni che non consente di indire concorsi.

Insomma, è la classica metafora del “cane che si morde la coda” e che va in circolo, un circolo vizioso che non si risolverà se prima non si approverà il Piano di riequilibrio – punto focale di ogni attività amministrativa del Comune – che, com’è ormai noto, in caso contrario aprirà la strada per la dichiarazione di un secondo stato di dissesto.

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Stefano Mandarano

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