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METAPONTO – Un pezzo della nostra storia rischia di annegare nell’indifferenza dei poteri locali e nazionali. Le Tavole Palatine, resti di quello che fu un formidabile tempio innalzato in onore della dea Hera all’alba del VI secolo avanti Cristo (e testimonianza di una civiltà che fonda la filosofia greca e quella moderna), sono sommerse dai detriti e dal fango smossi dall’alluvione del 7 ottobre. Il Quotidiano della Basilicata chiede al Ministro della Cultura e a tutti gli Enti competenti di attivarsi urgentemente per salvare un patrimonio culturale che appartiene non solo alla Basilicata e all’Italia, ma a tutta l’umanità.
NON tutti sanno che l’antica Agorà di Metaponto, oggi Parco archeologico di notevole interesse culturale e turistico, è anche una mirabile opera di ingegneria idraulica, realizzata cinquemila anni fa e perfettamente funzionante fino ai tempi moderni, quando l’uomo è riuscito ad alterare tutto. L’emergenza che si sta registrando da qualche anno, infatti, non era tale nel VII secolo a.C., quando il Bradano allagava quasi regolarmente l’area degli attuali scavi, ma senza produrre i danni di oggi, perchè c’erano canali di scolo perfettamente funzionanti e, soprattutto, arrivava una massa d’acqua di molto inferiore.
«E’ proprio così -ci conferma il disaster manager Pio Acito- perchè l’Agorà fu realizzata con la tecnica delle “fondazioni su anfora”, ovvero come autentica città galleggiante, dotata di un buon sistema di drenaggio urbano, che aveva indotto gli abitanti a convivere serenamente con la presenza periodica dell’acqua. Basti pensare che, in quell’epoca, 2.500 anni fa, il mare si trovava a circa 100 metri dall’attuale area archeologica, oggi è a due chilometri perchè le inondazioni cicliche hanno portato i detriti allungando la spiaggia. Questo fa parte della normale dinamica costiera della fascia metapontina fino a Sibari e Crotone. Sotto l’attuale stazione ferroviaria di Metaponto, ad esempio, 500 anni fa c’era la duna primaria, c’era il mare e questo lasso di tempo in geologia è pochissimo».
Oggi negli scavi ci sono delle pompe idrovore, che risultano insufficienti per smaltire rapidamente la massa d’acqua che arriva dal Bradano, perchè?
«Semplice -spiega Acito- il fiume porta circa 2.000 litri al secondo più la massa dei detriti, un’idrovora ne può smaltire 50 al secondo, quindi non ce la fanno; non esiste al mondo un’idrovora in grado di assorbire in tempo reale la massa d’acqua di un fiume».
Quindi, da esperto della materia, quale potrebbe essere il rimedio a questa situazione critica, che rischia di farci perdere per sempre le ultime tracce inestimabili della nostra storia?
«Bisognerebbe realizzare delle vasche di espansione da Montescaglioso fino a valle -spiega Acito- servirebbero a ridurre la violenza dell’acqua, che poi potrebbe essere gestita in modo più tranquillo, magari facendola confluire nei campi».
Cosa vuol dire far confluire l’acqua nei campi?
«Qui bisogna fare una valutazione -chiarisce Acito- mettendo sul piatto della bilancia un vigneto e l’area archeologica, che rappresenta la nostra storia. Io, da uomo della strada, penso che bisogna quantificare la produttività annua del vigneto e indennizzare il proprietario, che guadagnerebbe gli stessi soldi senza lavorare, in modo da far confluire l’acqua nel suo terreno. Potrebbe essere una soluzione, ma occorre che le istituzioni competenti si mettano intorno a un tavolo “col le teste vuote”, come recita un detto orientale, in modo da assorbire idee e progetti per la soluzione del problema».
Forse l’ultima idea di Acito potrebbe suonare strana, ma facendo due conti, il danno economico che deriva dalle cicliche incursioni dell’acqua nel Parco archeologico metapontino, supera di gran lunga l’eventuale indennizzo che si darebbe a un’azienda agricola. Un dato su cui si dovrebbe riflettere per salvare la nostra storia.
a.corrado@luedi.it
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