Elena D'Epiro
7 minuti per la letturaTutto è iniziato l’anno scorso: mentre il coronavirus allentava temporaneamente la presa e il mondo riprendeva fiato dai lockdown, la mamma di Harry Potter, J. K. Rowling pubblicava alcuni commenti critici sul concetto di identità di genere e su quello che lei definiva il “nuovo attivismo trans”, innescando un acceso dibattito globale.
Intanto in Italia approdava alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati il DDL Zan contro l’omotransfobia, destinato a dividere il mondo politico e la società civile.
Lei, Elena D’Epiro, 27enne assegnata maschio alla nascita e ancora acerbamente donna, alle prese con il complicato percorso di transizione, col suo bagaglio di dolori e timori, sopraffatta dall’indignazione per gli attacchi e le fake news che quotidianamente leggeva sulle persone transgender, ha preso il coraggio a due mani e ha deciso di spalancare una finestra sul mondo trans per spiegare come ci si sente a venire rinchiusi in una narrativa ridicola e macchiettistica, scolpita da pregiudizi granitici.
Elena ha aperto la pagina Instagram Trans.Fakenews ed è diventata Influencer per i diritti civili delle persone trans, raccontando sul web la sua vita e commentando con i followers le notizie che circolano sul tema.
Una decisione nata per mettersi in contatto con gli altri e sentirsi meno sola, visto che dopo il coming out aveva perso gran parte degli amici, una decisione che oggi definisce anche un atto politico: «Il fatto è che vivendo una normale vita quotidiana le persone trans compiono un atto politico», spiega lei, «vederle camminare come tutti per le vie del centro, fare la spesa, è un’immagine strana, disturbante per qualcuno: c’è che ci vorrebbe relegati al mondo della notte, a quello della prostituzione, ai margini della società.
Quindi la visibilità trans è un atto politico anche sul web: per affermare che noi siamo parte della società, ci interessiamo ad essa e vogliamo migliorarla».
Elena, che dalla provincia di Latina si è trasferita con la famiglia a Parma da adolescente, laureanda in economia aziendale, ha affrontato la transizione a 24 anni, dopo un periodo difficile di depressione.
Ora a un anno dal suo debutto come attivista influencer, racconta: «La comunità trans è sempre mal rappresentata sui media ma l’anno scorso era particolarmente sotto assedio: leggere tesi semplicistiche su di noi, in alcuni casi palesemente false, mi scocciava da morire. Non c’erano pagine online che rappresentassero la nostra realtà e io che sono sempre stata una persona interessata alla politica e al confronto sociale, ero stanca di tenermi tutto dentro».
Spiegami meglio.
«Vedi, quando si viene descritti, rappresentati in maniera caricaturale, è molto dura. La transizione prevede un percorso delicato anche dal punto di vista psicologico: vivere la trasformazione della propria immagine, la difficoltà di esprimere finalmente quello che hai dentro anche esteriormente, è sfibrante. L’autostima è così fragile che di fronte a certe frasi offensive che delegittimano il tuo percorso su un articolo di giornale, cadono tutte le difese, una persona, soprattutto in fase iniziale di transizione, così la atterri. Quindi nella mia pagina ho cominciato a chiedere di segnalarmi questi articoli per discuterne in direct, per tirare fuori un po’ di amarezza, elaborare la frustrazione e cercare tutti insieme di sfatare certi pregiudizi. Fin da subito è stato terapeutico, sia per me che per chi mi seguiva».
Elena, sulla tua pagina parli molto di te della tua vita privata, del tuo compagno. È stato facile esporti in prima persona?
«Ci ho riflettuto a lungo, anche con il mio compagno. Lo abbiamo fatto perché siamo convinti che sia un messaggio importante. Volevo mostrare che condurre una vita quotidiana serena, ricca di affetti, è possibile. Vedi, per le persone trans è molto difficile trovare un partner. Perché avere una relazione alla luce del sole con una persona trans ti espone ai giudizi della gente. Io sono stata fortunata, sto con Riccardo da un anno. Siamo affiatati e lui stesso era convinto di doversi mostrare a viso aperto, per aiutare gli altri ad uscire dall’ombra».
Da quando sei online hai ricevuto degli attacchi dagli haters?
«La risposta è no! Mi ero preparata, ma non è accaduto: magari c’è chi mi scrive “ma tanto resterai sempre un maschio”, ma in generale, vedo solo disinformazione».
Chi sono i tuoi seguaci?
«I disorientati, che hanno bisogno di iniziare il percorso di cambiamento di genere e non sanno da che parte cominciare, hanno bisogno di parlare con qualcuno, di confrontarsi. Poi c’è chi il percorso lo ha già intrapreso e ha voglia di fare comunità, ma ci sono anche tante persone, giovani dai 18 ai 30 anni, che semplicemente vogliono capire di più di questa realtà, essere informati. Questo mi fa un grandissimo piacere».
Quali provvedimenti secondo te dovrebbero essere presi per migliorare la vita e il ruolo delle persone transgender?
«Tanto per cominciare, l’approvazione del DDL Zan, contro l’omotransfobia e la sua prevenzione nelle scuole. Inoltre, penso che ci vorrebbe un codice per le pari opportunità come tra uomo e donna, che includa le persone transgender. Inoltre, per cercare di alleviare il grandissimo problema della disoccupazione che ci affligge e che nasce dal pregiudizio, sarebbe necessario un codice di responsabilità di genere anche per le imprese: favorire la comunità lgbtq+ non dovrebbe essere un’operazione di restyling politicamente corretto, ma un normale rispetto della parità di diritti. Inoltre, sarebbe molto importante modificare la legge di rettifica dei dati anagrafici sui documenti. Non è possibile come avviene allo stato attuale, che una persona trascorra due, tre anni con un documento che non lo rappresenta più».
Tu a che punto sei con la rettifica dei dati anagrafici?
«Per farlo occorre rivolgersi al Tribunale. Io ho iniziato a raccogliere i documenti a novembre e a maggio c’è stata la prima udienza. Ancora ci vorrà un po’. Al momento, lo ammetto, non è facile. Ogni volta che devo esibire un documento, magari per ritirare delle analisi mediche oppure quando vado alla posta, si creano gli equivoci, si blocca tutto: devo mettermi a spiegare di fronte a tutti che la persona del documento sono io, che ho cambiato identità di genere, che sto aspettando la sentenza del Tribunale. È molto umiliante. Inoltre, senza documenti in regola è anche difficile trovare lavoro».
Che lavoro fai?
«Attualmente non lavoro. Prima facevo il collaboratore scolastico, ma quando ho deciso di intraprendere il percorso di riaffermazione di genere ho lasciato scadere il contratto che avevo e non l’ho rinnovato. L’ho fatto per non creare difficoltà. I bambini sono stupendi, avrebbero capito, ma tanti genitori probabilmente no…Quando avrò i miei documenti mi sentirò più tranquilla nell’andare a sostenere un colloquio di lavoro. Mi piacerebbe lavorare nel settore bancario, in un contesto anche grande».
Facciamo un passo indietro, è stato difficile fare coming out?
«Io ho capito che ero donna molto tardi, a 24 anni. Conducevo una vita normale, avevo avuto delle fidanzate. Nessuno poteva immaginare. Il fatto è che avevo sempre vissuto nello stato d’animo di chi interpreta un personaggio. Facevo quello che mi avevano insegnato che un maschio deve fare. Dentro di me provavo un senso di scollamento dalla realtà al quale non riuscivo a dare un nome. Dopo un periodo buio, di depressione, ho capito. Allora ho fatto diversi coming out: purtroppo i miei genitori non l’hanno saputo da me: dei parenti hanno anticipato la notizia e per loro è stato uno choc. Ci è voluto del tempo perché cominciassero ad accettare la situazione, a comprenderla. Poi mi sono stati molto vicini, mi hanno sostenuta. Ho fatto coming out anche con gli amici e loro l’hanno visto quasi come un tradimento. In molti si sono allontanati e mi sono trovata ad affrontare il cambiamento di genere che ero abbastanza sola».
Chi ti ha sostenuto all’inizio?
«Una mia cara amica. Lei non mi ha mollata. Io non sapevo niente del mondo delle donne. Lei mi ha insegnato a vestirmi, a truccarmi. Mi ha aperto le porte. Ora ci sono anche le amiche conosciute sul web, con cui faccio squadra».
Ora sei felice?
«Sì, nonostante le difficoltà, per la prima volta sono felice».
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