Luca Palamara
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Se in una Asl, in un piccolo Comune, in una Regione, in una Provincia, in qualunque ente pubblico avvengono, accertate o sospettate, irregolarità, anche penali, che si fa? Vengono commissariati. Sono centinaia in Italia i Commissari di vari enti pubblici e privati, aziende piccole e grandi che vengono affidate ad amministratori giudiziari. Ma se tutte queste magagne, intrallazzi e anche reati penali accadono nei palazzi di giustizia, ma soprattutto al Consiglio superiore della magistratura, che succede? Niente o quasi. Qualche espulsione, qualche altro provvedimento disciplinare che quasi sempre viene aggirato con varie formule, molte con l’anticipata pensione dei magistrati coinvolti, nei confronti dei quali si interrompe la cosiddetta “azione disciplinare”.
L’INDICE DI CREDIBILITÀ
È vero che i “pannicelli sporchi” dovrebbero essere “puliti in famiglia”, ma quando è troppo e troppo. Ci sono interi palazzi di giustizia in Italia, con in testa il Consiglio superiore della magistratura, che sono stati sconvolti da scandali incredibili che, a memoria d’uomo, forse non hanno precedenti nella storia giudiziaria del nostro Paese, che dovrebbero essere “commissariati” come avviene per altri enti e istituzioni pubbliche e private. Ma il potere giudiziario, che costituzionalmente è indipendente dalla politica e spero che lo rimanga, non si deve toccare.
Si fanno giustizia da soli, ma non vera giustizia. È una giustizia che fa acqua da tutte le parti e fino a quando non dimostreranno (il potere giudiziario ) che possono fare pulizia da soli, l’indice di credibilità della magistratura, è purtroppo destinato a scendere ancora più in basso davanti a una opinione pubblica (soprattutto davanti alle persone oneste) a dir poco sconcertata e senza fiducia nei confronti di chi, invece, dovrebbe proteggerli. È chiaro che non si deve fare di tutta un’erba un fascio, perché ci sono molti magistrati che fanno coscienziosamente il proprio lavoro e il proprio dovere, spesso, come purtroppo è accaduto, anche a rischio della loro vita. E questa giustizia dovrebbe, proprio per onorare i propri caduti, impegnarsi a essere una giustizia giusta e vera.
Qualche esempio? Per la verità sono molti e non c’è spazio in questa pagina per elencarli tutti, ma ci limitiamo agli ultimi avvenimenti provocati dal “duo” Luca Palamara, ex magistrato, componente del Csm (Consiglio superiore della magistratura) e dell’Anm (Associazione nazionale magistrati) e dall’avvocato Pietro Amara, ex legale dell’Eni e di tanti altri enti: con le loro dichiarazioni e rivelazioni, hanno svelato il marcio che esiste all’interno della magistratura (soprattutto dentro il Csm) deputata a difendere i cittadini onesti del nostro Paese.
L’ATTACCO DI PALAMARA
Luca Palamara è andato giù duro sull’amministrazione della Giustizia (in casi rarissimi è stato querelato) rivelando tra l’altro che anche l’attuale procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, lo contattò in una terrazza di un albergo romano per chiedere un sostegno per le proprie aspirazioni.
E lui, Salvi, che ha fatto appena diventato procuratore generale della Cassazione? Ha emanato una circolare chiedendo di fatto una “amnistia” per i magistrati finiti nelle chat per aver brigato con l’ex leader dell’Anm. Sostenendo che «l’autopromozione non è un illecito». Dove di fatto dice che chi ha chiesto una “raccomandazione” o “intervento” (come lui ndr) non ha commesso un reato e neanche un illecito disciplinare. Ma se lo fa il sottoscritto o qualunque altro cittadino normale, finisce quanto meno in carcere o ai domiciliari. La circolare ha fatto indispettire centinaia di magistrati che sarebbero al di fuori dei traffici di Palamara, che hanno chiesto a Salvi e ad altri magistrati coinvolti, di fare «chiarezza». Ma ancora aspettano.
Ma torniamo ai giorni nostri, a ieri e all’altro ieri, con tre palazzi di Giustizia letteralmente “in confusione”. Partiamo da quello di Milano, dove l’attuale procuratore, Francesco Greco, è subissato da scandali che non riescono a fermarsi.
I PM INDAGATI A BRESCIA
L’ultimo è quello dell’iniziativa della Procura di Brescia (competente per eventuali reati commessi da magistrati milanesi) che ha indagato tre magistrati. Il pm Paolo Storari (che, se posso permettermi, è una persona per bene, ma forse si è fidato dei suoi ex capi e colleghi) è indagato per rivelazione di segreto d’ufficio per aver mostrato all’ex togato del Csm, Piercamillo Davigo, i verbali dell’ex avvocato dell’Eni Piero Amara. Con lui sono stati indagati i suoi colleghi Fabio de Pasquale e Sergio Spadaro per rifiuto di atti d’ufficio nell’ambito del processo Eni-Nigeria.
Secondo l’ipotesi accusatoria, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro non avrebbero depositato un video che avrebbe potuto minare la credibilità di un testimone d’accusa e avrebbero depositato chat manomesse. In buona sostanza, i due magistrati avrebbero nascosto delle prove a favore degli imputati del processo Eni che sono stati tutti assolti, anche per questa ragione. Perché Pietro Amara aveva registrato di nascosto una conversazione con un testimone del processo Eni che confessava che le sue accuse non erano veritiere.
Tutta questa storia è adesso nelle mani del procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, che è, purtroppo o per fortuna, titolare dell’azione disciplinare nei confronti dei tre magistrati indagati da Brescia. Indagini, quelle di Brescia, che potrebbero influire sulla nomina del nuovo Procuratore di Milano dove sono in corsa il pm romano Paolo Ielo e il milanese Maurizio Romanelli.
Ma in corsa c’è anche un altro magistrato, Nicola Gratteri, percepito, come ha detto qualcuno, come il “papa straniero” e indipendente dalle dinamiche correntizie, quindi al di fuori del “sistema” di Luca Palamara e dell’avvocato Pietro Amara. E, proprio per questa ragione, sarà difficile che Gratteri possa essere nominato, salvo cambi di fronte dell’ultimo momento, come spesso accade per rifarsi una verginità.
L’altro caso spinoso per la magistratura e per il Csm è il “caso Verbania”, dove il Gip che aveva scarcerato alcuni degli indagati per la strage della funivia del Mottarone (una decina di morti) è stata scippata del fascicolo d’indagine affidato a un’altra collega. Una scelta molto discutibile, perché è stata interpretata come una scelta garantista che non è andata a genio ai pm che indagano sulla vicenda. E quindi si è aperto un grande scontro sul quale sono intervenuti, a ragione, due componenti del Csm, Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita, provocando anche la protesta degli avvocati della difesa che hanno annunciato uno sciopero, con l’Unione delle Camere penali che torna a chiedere la separazione delle carriere in magistratura.
Insomma, il fascicolo è stato tolto a un gip e assegnato a un altro che non se n’era potuto occupare perché oberato di lavoro e che, improvvisamente, adesso se ne può occupare perché con una bacchetta magica avrebbe smaltito il lavoro pregresso. Miracoli della giustizia, anzi della magistratura.
GLI ULTIMI SCANDALI
E, come detto, la lista è lunga, ma ricordiamo l’ultimo scandalo, quello del palazzo di giustizia di Taranto e anche quello di Trani che ha visto coinvolto l’ex procuratore Carlo Mario Capristo, sottoposto all’obbligo di dimora su decisione della Procura di Potenza. La stessa ha anche disposto misure cautelari nei confronti dell’avvocato siciliano Pietro Amara (carcere), dell’avvocato di Trani, Giacomo Ragno (arresti domiciliari), del poliziotto Filippo Paradiso (carcere), e dell’ex consulente di Ilva in amministrazione straordinaria, Nicola Nicoletti (domiciliari). L’inchiesta verte su un presunto scambio di favori nell’ambito di procedimenti per l’ex Ilva, con il procuratore Capristo che, secondo l’ accusa, «ha venduto la sua funzione giudiziaria». La Procura di Potenza, guidata da Francesco Curcio, dice che «Capristo stabilmente vendeva ad Amara e Nicoletti, la propria funzione giudiziaria, sia presso la Procura di Trani (a favore del solo Amara) che presso la Procura di Taranto (a favore di Amara e Nicoletti ) svolgendo, in tale contesto, Paradiso, funzione d’intermediario presso Capristo per conto e nell’interesse di Amara». Un Amara che aveva sponsorizzato e ottenuto la nomina di Capristo a Procuratore della Repubblica di Taranto.
Ne volete ancora? Sì, forse un’ultima chicca. Ieri Antonello Montante, ex vicepresidente di Confindustria ed ex paladino dell’Antimafia, già condannato, ha parlato in aula a Caltanissetta. I giornalisti non sono stati ammessi. Ma credetemi, se Montante parlasse, Amara e Palamara, sarebbero dei dilettanti perché Montante potrebbe sconvolgere più di loro, gli apparati giudiziari e istituzionali. Staremo a vedere.
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