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Una caricatura di Berlusconi

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Com’era ovvio, ai primi annunci di Federazione o fusione per non dire annessione, sono scoppiati tumulti dentro Forza Italia.

Meno nella Lega, anche se i malumori non mancano. Per ora, l’operazione sembra soltanto di vertice: Berlusconi non intende assistere ad uno stillicidio del suo partito fino a vederlo sparire come soggetto politico e getta a Salvini l’opportunità di fare qualcosa di nuovo che non sia la semplice somma dei due partiti, specialmente dopo aver vissuto la fallimentare esperienza del Pdl quando il matrimonio con Fini si chiuse in un divorzio rissoso.

Dentro Forza Italia la resistenza più forte è quella delle due leader Gelmini e Carfagna, l’una al nord l’altra al sud, che non vogliono sentir parlare di una sottomissione alla Lega di Salvini. La loro protesta ha già provocato un accenno di frenata da parte di Silvio Berlusconi. I giornali ne parlavano ieri: Berlusconi avrebbe rassicurato la Carfagna del fatto che quella della Federazione con la Lega fosse soltanto un’idea da esplorare, ma non una decisione presa.

Questo escamotage ha fatto immediatamente titolare sull’arretramento rispetto al progetto originario, ma probabilmente siamo di fronte a pura tattica: Berlusconi non vuole perdere ulteriori pezzi e non potrebbe tollerare una scissione da parte delle donne più importanti, politicamente più importanti, cui si aggiunge anche la Bernini, per nulla contenta della piega che stanno prendendo le cose.

Motivo per cui, allo stato, la procedura di federazione è momentaneamente in stand by. I consiglieri più fidati del Cavaliere lo hanno trovato già convinto di un punto: nelle fusioni è sicuro che due più due non faccia mai quattro ma al massimo tre virgola. Quindi si deve cercare non la via della somma ma della moltiplicazione. Per questo, ha detto, occorre un piano politico e non un pallottoliere. Che cosa significa?

Significa che al centrodestra occorre un programma nel quale sia la Lega che Forza Italia, con i cespugli aggregati, possano dire di riconoscersi in un programma che vada oltre i naturali confini delle diverse identità. Facile a dirsi, meno a tradursi in fatti. Berlusconi ha ricordato ai suoi che al momento di partire con la sua avventura originaria lui lanciò un libro intitolato “L’Italia che vorrei” in cui lanciava un sogno. Se e quanto di quel sogno poi si sia davvero realizzato nel corso dei saltuari governi continuamente interrotti da colpi di mano se non colpi di Stato, è difficile dire.

Ma il sogno c’era e per Berlusconi è adesso il momento di tirarne fuori un altro di libro dei sogni ma che stavolta somigli di più ad una start up rivoluzionaria che abbia questa caratteristica: di mangiarsi il territorio abbandonato dalle sinistre nel campo del riformismo sociale, terreno su cui non sarebbe difficile far convergere anche Giorgia Meloni.

Berlusconi ha detto che per il centrodestra questo è un momento d’oro: la stabilità e la continuità del governo Draghi, è la precondizione perché qualsiasi esperimento si faccia a destra adesso abbia il tempo di consolidarsi e trovare il suo equilibrio prima di arrivare alle urne.

Quindi il primo obiettivo da garantire, questa stato il senso comprensivo del suo discorso, e la stabilità assoluta del governo Draghi che deve sapere di avere nei suoi alleati di centrodestra dei bastioni non tentennanti e volatili, come sono invece quelli che alloggiano il centrosinistra e nello spappolato Movimento 5 stelle. Su questo tema anche Salvini si è detto d’accordo, prova ne sia che ha fatto già una conversione ad “U” in Europa ed a più volte ribadito un’adesione senza se e senza ma al governo Draghi, rinunciando alle poco redditizie scaramucce come quella sul coprifuoco serale, ora definitivamente tramontata salvo imprevedibili sciagure virali.

Una volta consolidato il governo, avrebbe detto Berlusconi, dobbiamo aspettarci un colpo di coda da parte del Movimento 5 stelle il quale non ha altro modo di dimostrare la propria esistenza e di mantenerla viva e agitata di fronte al suo elettorato che quello di mettere o minacciare una crisi di governo. In questa strategia il movimento potrebbe trovare o non trovare alleanza con Enrico Letta. La questione cruciale tra i due partiti resta quella delle amministrative che fa da banco di prova del punto di rottura oltre il quale nessuno è in grado di garantire nulla e di fare previsioni. Nel Pd Enrico Letta ha avuto i dati che dimostrano quanto le sue proposte per lo ius soli, il voto a 16 anni, la paghetta generazionale, la tassa sulle eredità, abbiano riscosso un successo di pubblico molto scoraggiante.

Berlusconi e Salvini si sarebbero trovati d’accordo sul fatto che una tempesta sul governo Draghi non sarebbe alle prospettive future di una Federazione di centrodestra e che quindi l’unica carta da giocare per impedire una tale eventualità e quella di cercare di catturare quanto più possibile i pezzi sciolti del Movimento 5 stelle in cerca di salvezza, di patria, di garanzie.

Non si ha notizie su ciò che avrebbe detto in proposito Salvini ma sicuramente Berlusconi conta sul fatto che il leader leghista conti sui rapporti molto solidi e privilegiati con i 5 Stelle, benché i calcoli in quella direzione siano difficilissimi e nessuno è in grado per il momento di valutare quanto la presenza di Giuseppe Conte porti o tolga consensi.

L’idea del presidente di Forza Italia sarebbe quindi quella di preparare un lascito politico che non sia una eredità ai posteri ma lo sviluppo di un progetto su una base nuova fondato su un comune europeismo, l’accettazione da parte della stessa Europa della Lega di Salvini considerata non più un nemico alla stregua della Le Pen,  ma un elemento stabilizzante del contesto europeo, in modo tale da rendere la vita più facile possibile a Mario Draghi in Europa e gli permetta anzi di  consolidare la propria leadership nel momento in cui anche la Merkel e in uscita dalla sua cancelleria e Macron deve affrontare elezioni dall’esito molto incerto.

L’operazione Berlusconi su Salvini e infatti chiaramente fondata sull’ipotesi di una crescente leadership di Draghi in Europa riconosciuta non soltanto da Ursula von der Leyen ma anche dagli Stati Uniti di Joe Biden e persino dal Regno Unito di Boris Johnson che si trova in una gravissima situazione di stallo con la Brexit a causa del contenzioso con l’Irlanda del Nord che ha provocato una coda di contenziosi legali con l’Europa. Paradossalmente Johnson ha bisogno di Draghi non meno di Biden e ciò non solo rafforza Draghi ma implicitamente rafforza anche coloro che sostengono Draghi senza riserve.

(3 – Continua)


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Stefano Mandarano

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