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POTENZA – «Ma il problema non è questo, non ti… non bisogna farsi fuorviare il problema è che ancora oggi io di questo ti avrei interessato… tra qualche giorno».
Parlava così il 24 settembre del 2009 il direttore generale dell’Arpab Vincenzo Sigillito al telefono con Renato Arminio, il pm che da Melfi si stava occupando del caso Fenice, prima che il fascicolo passasse a Potenza e Sigillito venisse arrestato con l’accusa di disastro ambientale, omissione d’atti d’ufficio, truffa e associazione a delinquere.
L’intercettazione effettuata dai carabinieri del capoluogo che indagavano su alcuni strani giri attorno agli uffici di via della Fisica è rimasta segretata fino ad oggi ed è la conclusione di una triangolazione tra il pm, l’amico imprenditore Donato Moscariello, e Sigillito. Non uno qualunque Moscariello, a ben vedere. Ma il patron del consorzio che si occupava della raccolta dei rifiuti ad Atella, Rionero, Lavello, Melfi e Senise, tutti comuni clienti di Fenice. Ex socio della stessa Fenice-Edf nella Vulture Ambiente srl, e di Enzo Arminio e del fratello dell’ideatore del Piano provinciale rifiuti nella Ecology service di Atella, una ditta che si occupava proprio di smaltire le ceneri prodotte dall’impianto sotto inchiesta da parte del pm Renato (il padre di Enzo) per l’inquinamento della falda di San Nicola.
«Stanotte mi sono ritirato alle 3 che sono stato con… in un incontro di lavoro con delle persone che venivano qua, da Fenice». Così Moscariello a Sigillito, il 24 settembre del 2009. Tanto per fugare il dubbio che il suo interlocutore sapesse degli interessi sull’inceneritore. Poi avvisa il dg dell’Arpab di essere stato contattato dal «dottor Arminio che voleva un fax». S’intende da Sigillito. Ma per contattarlo usava lui, Moscariello, con cui il pm sembra aver avuto una certa consuetudine. Stessa cosa che al rovescio aveva fatto qualche mese prima Sigillito quando aveva bisogno di incontrare Arminio.
La telefonata tra Sigillito e la procura della Repubblica di Melfi è di due minuti dopo. Ma i carabinieri avevano sotto controllo solo il cellulare dell’ex dg dell’Arpab, che per chiamare avrebbe usato il vecchio telefono fisso sulla scrivania. Per questo è grazie a una microspia piazzata nel suo ufficio che i militari sono riusciti a captare qualcosa di quello che si sono detti. Perlopiù le risposte di Sigillito alle domande del magistrato. Ma non solo.
«E dal 2008 che abbiamo iniziato ad approfondire le analisi» Spiega l’ex dg che oggi è accusato di aver occultato i dati dell’inquinamento dell’inceneritore, risalente addirittura al 2000 secondo i periti della procura di Potenza. «Quando mi dici tu vengo, faccio un salto (…) l’incontro è sempre piacevole (…) no quello è un cretino. Bolognetti è un cretino e… il problema e che è vero che quello fa… fa le sue considerazioni e le trasmette però è pur vero che l’Arpab fa le verifiche».
Così cercava di rasserenare il suo interlocutore sulle denunce del segretario dei radicali lucani che era stato tra i primi a sollevare il caso di quanto stava avvenendo a San Nicola di Melfi.
«No… Ma tu il problema non è questo… Non bisogna farsi fuorviare. Il problema è che ancora oggi io di questo ti avrei interessato… tra qualche giorno». Insiste l’ex dg con Arminio, che a questo punto i carabinieri sono riusciti a sentire in maniera distinta mentre dice: «Dall’inizio volevo sequestrare».
«Bravo (…) Bravo». Sembra rispondergli subito dopo l’ex dg inseguendo il filo del suo ravvedimento rispetto al proposito di partenza. «Ma con tutto il cuore (…) E ma certo sono cose… Loro come sono sempre state fatte all’unisono (…) Un abbraccio».
Si fidavano l’uno dell’altro il pm di Melfi e il direttore generale. Tant’è vero che il primo avrebbe chiesto al secondo di indicare alla polizia provinciale «tutti i responsabili Arpab intervenuti nella vicenda, con i relativi periodi di reggenza». Chiaro quindi perchè il suo nome tra i soggetti “attenzionati” in quell’informativa non ci sia. «Nonostante – come avrebbe scritto il gip un anno e mezzo più tardi disponendone gli arresti domiciliari – si sia reso anch’egli responsabile di condotte penalmente rilevanti». Era proprio lui per gli investigatori del capoluogo quello da cui bisognava guardarsi con maggiore attenzione.
l.amato@luedi.it
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