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Il tribunale vecchio di Vibo Valentia

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«TUTTI gli imputati devono essere assolti per non aver commesso il fatto».

Queste le conclusioni della requisitoria del pubblico ministero di Vibo, Ciro Luca Lotoro, al processo in abbreviato per la morte dell’infermiere 49enne Nicola Colloca, avvenuta il 26 settembre del 2010 in una pineta al confine tra i comuni di Maierato e Pizzo.

Un epilogo ormai segnato dopo il deposito dell’ultima consulenza medico-legale e il rigetto della richiesta la richiesta avanzata dalla Procura di Vibo e dalla parte civile di rinnovazione di un’altra perizia medica e quindi adesso si procederà alla discussione.

Colloca venne trovato carbonizzato all’interno della Opel Corsa.

Per quel fatto sono finiti a processo con rito abbreviato (chi condizionato, chi secco) i familiari dell’uomo ed altre persone con le accuse a vario titolo di omicidio, distruzione di cadavere e favoreggiamento personale.

Nell’udienza del marzo scorso, il gup Marina Russo aveva accolto le istanze dei difensori degli imputati rigettato quelle della Procura, avviando il processo alla fase conclusiva e con una consulenza secondo la quale il decesso di Colloca sarebbe da imputare ad un suicidio e non a un omicidio.

All’esito della stessa, sia il pm che la parte civile – soprattutto quest’ultima – avevano rilevato come le risposte fornite fossero parziali e non soddisfacenti, chiedendo inoltre un confronto tra il prof. Arcudi (che aveva effettuato i primi accertamenti sul decesso) e lo stesso Tarsitano che era stata, anche questa, rigettata dal gup evidenziando l’impossibilità di una rinnovazione della perizia che può avvenire in casi di nullità, ritenendo che questa fosse esaustiva.

A questo punto la Procura ha chiesto la rinnovazione della consulenza balistica effettuata dal prof. Mancino che aveva sostenuto che l’incendio era stato innescato da chi era all’interno dell’auto escludendo un’origine dall’esterno in quanto non erano stati rinvenuti elementi tali da avvalorare simile tesi.

Ad ogni modo, all’istanza del pm si erano opposte le difese in quanto le modalità del processo abbreviato consente di confrontarsi solo sullo stato degli atti e quindi l’unico atto istruttorio da compiere era la super perizia medico-legale di Tarsitano finalizzata ad accertare le cause del decesso.

Chiusa quindi l’istruttoria, ieri c’è stata, come detto, la requisitoria del pm Lotoro, l’intervento delle parti civili, e quelli di una parte delle difese con gli avvocati Pietro Chiappalone e Guido Contestabile; il 18 sarà la volta dei colleghi Franco Muzzopappa, Vincenzo Gennaro e Bruno Ganino; la sentenza è prevista per il 29 giugno, ma è chiaro a questo punto che l’esito del processo – salvo improbabili sorprese – è ormai scontato.

Ricordiamo che in base alla prospettazione accusatoria, Nicola Colloca sarebbe stato colpito violentemente con un corpo contundente in testa, causando “un trauma cranico contusivo e fratturativo sulla porzione sinistra della volta cranica, produttivo di conseguenze encefaliche ed emorragiche”, con il cadavere che sarebbe poi stato trasportato nell’auto della moglie della vittima nella pineta e poi bruciato insieme alla stessa.

Imputati nel procedimento in abbreviato, Caterina Gentile, 51 anni, moglie di Nicola Colloca, e Luciano Colloca, 29 anni, figlio dell’infermiere, Michele Rumbolà, 65 anni, di Vibo; abbreviato condizionato alla perizia invece per Caterina Magro, 44 anni, nata a Vibo, ma residente a Terni, Nicola Gentile, 57 anni, di Vibo e Domenico Gentile, 45 anni, di Arena, cognati dell’infermiere.

Per loro l’accusa è concorso in omicidio e distruzione di cadavere. Alla moglie, al figlio di Colloca e a Michele Rumbolà, viene inoltre contestata la premeditazione del delitto, mentre a moglie e figlio anche l’aggravante di aver agito contro un familiare nei primi due reati.

Abbreviato secco avevano invece scelto i coniugi Domenico Antonio Lentini, 59 anni, e Romanina D’Aguì, 55 anni, entrambi di Vibo Valentia, ed accusati di favoreggiamento personale per aver cercato di sviare le indagini fornendo false dichiarazioni ai carabinieri.

La parte civile – i familiari della vittima – è invece rappresentata dall’avvocato Diego Brancia.

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