Nicola Irto
4 minuti per la letturaCOSENZA – C’è chi parla di una scelta annunciata. Chi, invece, di una scelta tattica per rilanciare, un po’ come ha fatto Manfredi a Napoli. Quel che è indubbio è che la decisione di Nicola Irto di ritirare la sua candidatura a presidente della giunta regionale della Calabria ha destato molto rumore. Anche oltre i confini del Pollino.
Irto, la scelta di ritirarsi quando l’ha maturata? Si è sentito lasciato solo?
«È una scelta maturata in queste settimane, frutto di una consapevolezza cresciuta giorno dopo giorno, nel notare che mentre cercavo di occuparmi di costruire un programma aperto e largo per il futuro della Calabria, ad altri interessava solo tentare alchimie elettorali, cartelli più o meno omogenei, strutture in grado di raccogliere consenso. Dei calabresi, dei loro problemi, dei loro affanni, non mi pare interessasse molto».
Lei parla di questo sforzo programmatico, ma la sua candidatura è in campo da mesi e non mi risulta sia mai stata sottoposta agli alleati. Perché?
«Ciò che posso dirle io è che il gruppo dirigente del Pd è stato compatto nel designarmi come candidato a presidente. Una scelta non messa in discussione, fatte salve le incursioni di qualche aspirante capo corrente. Ma il punto non è il nome di Irto o di altri, il punto è avere la capacità di presentarsi al cospetto dei calabresi con un programma di governo. Io non voglio essere votato perché sono una figurina di un album Panini, io vorrei essere scelto dai cittadini perché credono nel mio progetto e mi chiedono di realizzarlo».
Come si può fare per arrivare a una pacificazione del partito? Chi sono questi settori del centrosinistra che strizzano l’occhio al centrodestra di cui parla?
«Non si pone una questione di “pacificazione”: in politica si può avere anche idee diverse, l’importante però è riuscire a fare sintesi. Ma se non si ha intenzione di arrivare a un’elaborazione unitaria, se si gioca al “tanto peggio tanto meglio”, se si cerca di spaccare il fronte del centrosinistra per aiutare l’affermazione del campo avversario, allora è evidente che l’unità non si raggiungerà mai e che si favorirà l’affermazione degli altri».
Cosa succederà adesso? Secondo lei un accordo unitario su de Magistris è possibile?
«Inseguire De Magistris è stato un errore da dilettanti della politica. Come è possibile immaginare di costruire un’alternativa a Napoli contro De Magistris demonizzandolo e mettendolo in un angolo e allearsi in Calabria? Capisco le convenienze politiche e i repentini mutamenti ma a tutto c’è un limite. Perseverare, oggi, sarebbe diabolico: non ho difficoltà a prevedere che, in una simile ipotesi, il Pd in Calabria si autodistruggerebbe».
Ma la segreteria nazionale del PD che le ha risposto? Boccia l’aveva inviata a Roma per discutere: c’è stato? Che vi siete detti?
«Ho incontrato sia Letta che Boccia e li ringrazio entrambi. Peraltro il segretario è intervenuto pubblicamente in queste ore a mio sostegno. Fin dall’inizio della sua esperienza alla guida del Pd ha deciso di dare priorità alla lotta al correntismo, inteso come strumento di potere e di occupazione del partito. Ma sono passati ancora solo tre mesi dal suo insediamento, e questa si annuncia come una battaglia di lunga lena. Ci vorrà del tempo. Io sarò al suo fianco per cambiare il Pd».
Ha avuto contatti con il M5S o con Conte?
«Ho rispetto del presidente Conte e del Movimento 5 Stelle, ma ho rispetto soprattutto del PD cui appartengo dalla prima ora. Sarebbe grave se un esponente di un partito scavalcasse i propri livelli dirigenziali politici per accordarsi con altri. Capisco che nella barbarie del giorno d’oggi tutto si tiene, ma io non sono così. Io parlo con la segreteria del Pd, non con altri. È una trasversalità che non mi appartiene anche se in Calabria per taluni può essere normalità».
Lei fa giustamente un discorso di prospettiva che va oltre le elezioni. Il PD sembra fagocitare le giovani generazioni. Da dove e come ripartire?
«C’è una grande domanda di partecipazione alla vita politica, anche tra i giovani. In questi mesi ne ho incontrati tantissimi. A volte sfiduciati, ma il più delle volte alla ricerca di qualcuno che li ascolti davvero, che comprenda le loro esigenze, che sono le esigenze del mondo che cambia, e che parli la loro lingua. Il PD deve avere l’ambizione di farsi interprete dei bisogni dei giovani. Da questo bisogna ripartire, ma facendolo davvero, e ponendo fine al correntismo che da troppo tempo ammorba soprattutto i grandi partiti come il PD».
La sua decisione è definitiva?
«Se lo scenario non muta, come potrebbe non esserlo?»
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