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POTENZA – Ha lasciato il pm con la mano sospesa a mezz’aria, e si è seduto rimproverandogli a muso duro quella convocazione. «Niente da dire» agli investigatori che lo hanno fatto condannare a 14anni. Soltanto di una cosa si è preoccupato sul serio Renato Martorano, ed è che i sospetti di un pentimento inesistente potessero mettere a repentaglio i suoi cari a casa. Come ha raccontato lui stesso alla compagna durante un interrogatorio registrato qualche settimana più tardi nel supercarcere di Cuneo.
Ha respinto al mittente l’offerta di una collaborazione con la giustizia il boss potentino detenuto da maggio del 2008 con l’accusa di usura ed estorsione aggravata. Lo “smacco” per gli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia di Potenza risale a questa primavera ma è venuto a galla soltanto di recente.
All’incontro organizzato a Roma avevano preso parte oltre a Martorano, e al suo avvocato Pasquale Bartolo, i militari del Ros dei carabinieri di Potenza e il pm Francesco Basentini. Proprio quest’ultimo avrebbe provato a stringere la mano del boss incassando la sua reazione stizzita. Infatti, stando all’uomo a lungo considerato il «massimo esponente della ‘ndrangheta in Basilicata», già soltanto la trasferta “fuori programma” avrebbe potuto comprometterlo. Inteso agli occhi dei coinquilini del carcere di massima sicurezza di Cuneo, dove sono oltre un centinaio i detenuti sottoposti come lui a regime di 41bis, appartenenti a tutte le principali organizzazioni criminali. Chiaro che in posto così certe cose non possono passare inosservate. Motivo per cui il boss avrebbe preferito sbrigare la formalità con una videoconferenza, cosa che purtroppo non è possibile.
Risolta prima ancora di iniziare la trattativa su una sua eventuale collaborazione con la giustizia, agli investigatori non è rimasto altro da fare che rimurginare sui segreti di chi è tutt’ora al centro del più importante processo sulle infiltrazioni della malavita nell’economia e gli appalti delle principali amministrazioni pubbliche della Basilicata. Oltre all’inchiesta soprannominata Iena2, Martorano è stato di recente assolto in primo grado per l’omicidio di Tiziano Fusilli, il a Potenza nel 1989. Inoltre è stato più volte chiamato in causa dal boss pentito dell’altra “famiglia” del capoluogo lucano, Antonio Cossidente, anche a proposito del delitto dei coniugi Gianfredi, trucidati sotto casa nel 1997, sempre a Potenza.
Nato il primo di novembre del 1956 da un’onesta famiglia borghese (madre maestra elementare e padre capitano dell’esercito), Martorano è a tutti gli effetti un criminale atipico. Compie studi classici a Potenza, e frequenta l’Università di Napoli. Per un po’ fa l’istruttore di nuoto, poi è assunto come dipendente nella ditta di forniture per le aziende ospedaliere dell’allora segretario personale di Carmelo Azzarà, quand’era presidente della Giunta regionale.
Al centro delle inchieste finisce soltanto verso la metà degli anni ‘80 per sequestro di persona (condanna annullata dalla Corte di cassazione), una sparatoria nel 1988, armi e droga nel 1991, e associazione mafiosa nel 1994 a Bari. Sempre nel 1994 diventa un sorvegliato speciale di pubblica sicurezza, ma l’anno dopo è indagato ancora per associazione mafiosa, droga, e di nuovo associazione mafiosa. Nel 1997 è tra gli arrestati dell’operazione “Penelope”, poi torna in manette nel 2004 nell’ambito dell’inchiesta Iena2. Nel frattempo lavora come assicuratore e rappresentante di materiale per l’edilizia. Ad aprile del 2012 è stato condannato in via definitiva a 14 anni di reclusione per usura ed estorsione aggravata ai danni dell’ex amico, nonché “re” dell’asfalto e affini del capoluogo e dintorni, l’imprenditore Carmine Guarino.
l.amato@luedi.it
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