Il premier Mario Draghi e il ministro Daniele Franco alla Camera dei deputati
4 minuti per la letturaQuesta è la buona concertazione che serve al Paese. Come piacerebbe a Ciampi e a Marchionne. Nel nostro piccolo, anche a noi. Durante il governo Conte 2 abbiamo chiesto un giorno sì e l’altro pure di fare un gabinetto di guerra e chiamare a farne parte Dario Scannapieco, vicepresidente della Bei stimato in Italia e in Europa, soprattutto capace di fare le cose. Ce lo ritroviamo alla guida di Cassa Depositi e Prestiti e siamo sicuri che farà bene. Il decreto unico su Semplificazioni e nuova governance è pronto. Se tanto mi dà tanto ci sarà anche l’accordo sul lavoro
Mi è venuto in mente un pranzo di quindici anni fa a Torino, al Lingotto, con Luca Cordero di Montezemolo, allora presidente della Fiat, e Sergio Marchionne, neo-amministratore delegato, che entrava e usciva dalla stanza perché era in corso una convention con gli indiani e lui non poteva mancare.
Ricordo nitidamente la prima domanda di Marchionne: “Direttore, mi sa spiegare che cosa è la concertazione?”
Io rispondo che c’è stata una stagione molto importante con l’accordo sulla politica dei redditi del luglio del ’93 del Governo Ciampi, ma poi è diventata un male italiano, e significa essenzialmente discutere, ragionare, poi ancora discutere, poi ancora ragionare. Mi fermo e spiego meglio: “Dopo un po’ che si discute solitamente si fa un tavolo tecnico…”
E Marchionne incalza: “Sì, ma poi che cosa succede?”
Risposta: “Generalmente si continua a discutere e ragionare e si arriva all’estate.”
“Sì, ma allora che cosa succede?”
“Niente, si ferma tutto e si va in vacanza.”
“Ho capito, ma in autunno si arriverà a una conclusione?”
Rispondo: “Nella maggior parte dei casi arriva la convocazione di tutte le parti sociali intorno al tavolo verde di Palazzo Chigi…”
“Quindi, finalmente si decide?”
“No, per carità, di solito a questo punto le distanze si acuiscono, si fa un comunicato stampa e si torna a discutere, a ragionare e così via… l’importante è non decidere mai.”
Marchionne si ferma, mi guarda, poi guarda Montezemolo e dice: “Luca, ma è quello che hai fatto tu!”
Montezemolo fa un ghigno e poi, con un largo sorriso, mi dice: “A Sergio, lei lo sa, piace scherzare.”
Mario Draghi e Daniele Franco si stanno muovendo esattamente come fece Ciampi con la prima concertazione. Discutono, ascoltano, poi decidono. Tolgono e mettono qualche bandierina. Ritirano o fanno qualche piccola concessione. Sulla sostanza no. Vanno avanti a passo spedito. Fanno l’esatto contrario di quello che si è più o meno fatto negli ultimi venti anni.
I problemi che Draghi, Franco e l’intero governo di unità nazionale hanno davanti oggi sono superiori a quelli che aveva davanti a sé Ciampi. Perché oggi siamo davanti all’appuntamento con il nuovo ’29 mondiale dopo due grandi crisi internazionali, due recessioni, vent’anni di stagnazione e un Paese spaccato in due come non lo è mai stato dal Dopoguerra fino ai nostri giorni. Oggi come allora, per nostra fortuna, abbiamo un Presidente del Consiglio e un Ministro dell’Economia che decidono.
Abbiamo chiesto un giorno sì e l’altro pure durante il governo Conte due di fare un gabinetto di guerra e chiamare a farne parte Dario Scannapieco, vicepresidente della Bei stimato in Italia e in Europa, soprattutto capace di fare le cose. Ce lo ritroviamo alla guida di Cassa Depositi e Prestiti che è oggi ciò che pesa di più in questo Paese. Ne siamo felici perché saprà dialogare con le amministrazioni, saprà valorizzare il capitale umano e portare a termine le buone pratiche.
Se Draghi e Franco scelgono, come avvenuto ieri con le Ferrovie e oggi con Cdp, i nuovi vertici, sottraendoli ai circoli viziosi partitocratici, noi cominciamo a credere che le cose avverranno. Se come succederà oggi si va verso un decreto unico delle semplificazioni e della nuova governance che chiude con un passato impresentabile e si fa qualche, ragionevole, ulteriore miglioramento sui subappalti proprio come avrebbero fatto Ciampi e Maccanico, allora vuol dire che stiamo provando a uscire seriamente dal lungo inverno italiano. Che significa districarsi nel labirinto del moralismo ipocrita e degli interessi corporativi che blocca tutto tranne gli affarucci di qualcuno e che ha la sua sintesi algebrica nel codice dei “non appalti” perché esattamente questo è stato. Che significa mettere in moto la macchina degli investimenti pubblici e privati italiani. Che significa tornare a investire sul capitale umano a partire dalle aree più svantaggiate. Che significa dare prima al Mezzogiorno e poi all’intero Paese la sua sala progetti per cominciare a riunificare nei fatti le due Italie.
Se tanto mi dà tanto, ci sarà l’accordo anche sul blocco dei licenziamenti perché la bomba sociale fa paura e chi vuole cambiare il Paese con un progetto che vale per i prossimi venti anni sa che bisogna aiutare chi non può essere aiutato da nessun altro e fare correre tutto ciò che è possibile fare correre per creare lavoro buono per chi sta avanti e per chi sta indietro. Questa è la buona concertazione che serve al Paese. Questo è il metodo di governo che serve oggi al Paese. Decidere, mediare, decidere. Non tornare a ragionare e decidere di non decidere mai. Come piacerebbe a Ciampi e a Marchionne. Nel nostro piccolo, anche a noi.
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