I due latitanti, Rocco Morabito e Vincenzo Pasquino, arrestati in Brasile
3 minuti per la letturaREGGIO CALABRIA – Rocco Morabito, tra i più grandi broker della cocaina del mondo (LEGGI IL PROFILO), è finito finalmente nella rete degli inquirenti italiani che lo cercavano da quasi due anni, dopo la sua fuga dal carcere di Montevideo in Uruguay (LEGGI).
Acciuffato dal Ros dei Carabinieri insieme ad un altro latitante, Vincenzo Pasquino (LEGGI IL PROFILO), uomo di fiducia di Nicola Assisi, altro grande broker con radici a Platì ma con residenza a Torino. Pescati e arrestati a Joa Pessoa, un posto lungo la frontiera, capitale dello Stato del Paraíba, parte della mesoregione della Zona da Mata Paraibana. Al confine orientale del Brasile.
Una zona di influenza del Pcc (Primerio Comando da Capital) un’organizzazione paramilitare e terroristica che ha grandi influenze in quella zona e che da molti anni tratta armi e cocaina con la ‘ndrangheta calabrese.
Insieme utilizzano lo Stato di San Paolo come base commerciale per il traffico di droga. Un rapporto confermato anche dal fatto che negli anni scorsi almeno tre boss della mafia calabrese sono stati in contatto con il Pcc e tra questi Nicola Assisi, arrestato insieme a suo figlio, Patrick Assisi, a Luglio del 2019 a “Praia Grande” sulla costa di San Pablo, in un appartamento di lusso, ma anche Domenico Pelle che è stato almeno due volte a San Paolo. Notizia appresa in un’intercettazione telefonica realizzata dalla polizia italiana nel dicembre del 2016 quando Pelle e Giovanni Gentile, suo alleato, parlano di 17 kg di cocaina partiti dal Brasile, ma sequestrati poi nel porto di Gioia Tauro.
Ma ad evidenziare i legami tra la mala calabrese e il crimine sudamericano sarebbero state anche delle intercettazioni ottenute grazie ad un software installato sul telefono di uno degli imputati nel processo Rinascita Scott, Gregorio Niglia, che nell’ottobre del 2016, durante una cena con Bruno Fuduli, il capo clan, Giuseppe Antonio Accorinti, e il suo braccio destro, Antonio Vacatello, avrebbe partecipato all’organizzazione del trasferimento di un carico di armi e cocaina dal Brasile in Italia.
Un rapporto, quindi quello tra il Pcc e la ‘ndrangheta stabile ed antico che può aver avuto un ruolo nel rifugio degli ultimi due superlatitanti arrestati l’altro ieri notte in un appartamento, in una zona, dunque non sconosciuta per i clan calabresi.
Del resto, l’interesse della ‘Ndrangheta a San Paolo è sempre stata quella di negoziare direttamente con il Pcc, l’unica organizzazione criminale brasiliana che esporta la cocaina in altri continenti. Dal vicino porto di Santos, infatti, esce gran parte della droga importata dalla ndrangheta in Europa.
Solo negli anni tra il 2017 e il 2018 circa due tonnellate di cocaina sono state spedite in Europa attraverso i porti di Santos (San Paolo), Salvador (Bahia), Itajai’ (Santa Catarina) e Rio de Janeiro. Il Primeiro Comando da Capital venne fondato nel 1993 da detenuti nella prigione di Taubaté a San Paolo.
Si trattò all’inizio di otto detenuti componenti di una squadra di calcio interna al carcere che diedero vita ad una fazione criminale diversa da qualsiasi altra, una sorta di “fratellanza segreta”, che gestiva i propri affari come un’impresa d’affari.
Il Pcc nacque come una sorta di sindacato, un comando di potere per sfidare il sistema e la segreteria pubblica della sicurezza dello Stato di San Paolo. Il numero dei componenti, oppure, di “fratelli”, come vengono comunemente chiamati i membri della fazione, è aumentato progressivamente imponendo la propria presenza nelle carceri e nelle strade di tutto lo Stato di San Paolo controllando le vie di comunicazione nevralgiche per il commercio di armi e droga come lo Stato di Paraná e Matto Grosso do Sul.
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