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NAPOLI – Danilo Restivo «è perfettamente sano di mente, è “solo sostanzialmente insensibile al male arrecato agli altri». E’ questo uno dei passaggi più duri che si legge nelle motivazioni della sentenza di appello di condanna a 30 anni di reclusione a carico di Restivo per l’omicidio della studentessa potentina Elisa Claps.

In 102 pagine i giudici spiegano perchè, lo scorso 24 aprile, hanno confermato in pieno la condanna di primo grado. E subito mettono in chiaro questo: non è stata una “prova regina” ad incastrare Danilo Restivo e a determinare la sua colpevolezza, tanto in primo grado quanto in appello. Ma ci sono «plurimi, convergenti, concreti, e in definitiva schiaccianti elementi di prova». Soprattutto «vi è una circostanza che obiettivamente costituisce l’indizio più rilevante a carico dell’imputato». Ed è «il luogo di ritrovamento del cadavere, il sottotetto della chiesa della Trinità di Potenza».

Punto per punto nelle motivazioni si legge la risposta a tutti i dubbi che la difesa di Restivo – rappresentata dagli avvocati Alfredo Bargi e Marzia Scarpelli – ha cercato di insinuare per minare l’impianto accusatorio del pm e del legale della famiglia Claps, Giuliana Scarpetta.

La Corte di Assise di appello parte da un punto: quel sottotetto della chiesa dove Elisa fu uccisa il 12 settembre 1993. «Se i resti della povera Elisa fossero stati rinvenuti in un altro stabile, anche ubicato a poche centinaia di metri dal posto ove trovasi la chiesa della Santissima Trinità, la posizione del Restivo, pur se attinto positivamente da vari elementi di prova e di sospetto, sarebbe stata oggettivamente diversa e molto più difendibile – scrivono i giudici -; una volta ritrovata la salma della vittima nella chiesa della SS. Trinità, tutti gli altri segmenti indiziari raccolti dagli inquirenti sono andati al loro posto».

«Nessun testimone (attendibile) ha visto mai più Elisa da quel momento, mentre testimoni credibili (le amiche più care) sapevano che quel giorno e a quell’ora la ragazza doveva incontrare il Restivo il quale era attratto da Elisa, la quale viceversa, non lo ricambiava – si legge nelle motivazioni – Nessuno ha dichiarato di aver visto Restivo nelle ore cruciali dalle 11.30 alle 13.15 circa». E poi, sulla scena, «l’imputato ha lasciato seri indizi di reità”, come le ciocche di capelli tagliati, “firma del delitto», e frammenti del suo Dna.

Poi ci sono le dichiarazioni definite «fantasiose» di chi sostenne di aver visto Elisa dopo la sua scomparsa, la conferma della estraneità di un giovane albanese, Gega Eris, che in un primo momento fu chiamato in causa. Per i giudici «a Restivo non si è arrivati per esclusione, ovvero escludendo altri possibili sospettati» e «le altre piste investigative, pur debitamente battute, si sono rilevate chiaramente inconsistenti». Ed ancora, c’è poi il comportamento dell’imputato e della famiglia «non disponibile all’accertamento della verità dei fatti», la strenua difesa delle perizie, come quella del medico legale Introna, verso la quale sono state poste «censure azzardate». Centrale anche il movente «che va inquadrato nella personalità» di Restivo «sempre respinto dalle coetanee», il che ha determinato una «condizione di sofferenza e repressione sotto il profilo sessuale» e a pesare anche l’altro omicidio per il quale Restivo è attualmente detenuto in Gran Bretagna, quello di Heather Barnett.

Né Restivo, dicono i giudici, meritava, come chiesto dalla sua difesa, un trattamento sanzionatorio più mite per la sua personalità disturbata, perchè Restivo è sempre stato lucido, ha sempre controllato le sue reazioni emotive. Lui – scrivono i giudici – «è solo insensibile al male arrecato agli altri».

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