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CATANZARO – La Direzione Investigativa Antimafia di Catanzaro ha messo a segno una importante confisca nell’ambito dell’operazione denominata “Quattro Terre” che ha consentito di aggredire i beni di sei distinti soggetti per un valore complessivo pari a circa 15.500.000 euro. 

Nello specifico questa mattina è stato confiscato il patrimonio, per un valore prossimo a circa quattro milioni di euro, riconducibile a Domenico Antonio Ciconte (cl. 64) di Sorianello, condannato in via definitiva per usura. L’ordinanza in argomento è stata adottata dalla Corte d’Appello di Catanzaro a seguito della richiesta formulata dal Procura Generale del capoluogo regionale che, a sua volta, ha fatto ricorso agli accertamenti patrimoniali esperiti dalla Direzione Investigativa Antimafia di Catanzaro. Ciconte è stato condannato per usura con sentenza irrevocabile al termine del processo scaturito dall’operazione “Dinasty”, il Collegio si è spinto a considerare nel merito la misura patrimoniale richiesta. A tal proposito il Collegio, muovendo dall’esito delle investigazioni patrimoniali che hanno considerato un arco temporale compreso tra il 1985 ed il 2010, ha evidenziato che «gli accertamenti di natura patrimoniale esperiti dalla Direzione Investigativa Antimafia nei confronti di Ciconte hanno consentito di acclarare che una parte del patrimonio riconducibile al medesimo ha un valore sproporzionato rispetto alle dichiarazioni presentate dallo stesso e dai componenti del suo nucleo familiare ai fini delle imposte sul reddito». Ulteriormente, i giudici della Corte d’Appello hanno aggiunto che «sulla base dei dati statistici, fondati sui valori, di tipo medio, tratti dalle pubblicazioni dell’Istituto Nazionale di Statistica, riferiti agli anni presi in considerazione dalle investigazioni compendiate nell’informativa della Dia emerge, infine, una evidente sperequazione tra la capacità reddituale annuale del nucleo familiare del Ciconte e la spesa familiare annua, quale ritenuta necessaria ad ogni nucleo familiare per i propri bisogni quotidiani». Muovendo da queste premesse, il Collegio ha concluso sostenendo che «va escluso che con il solo reddito dichiarato da lui e dalla moglie, Ciconte potesse provvedere al sostentamento quotidiano del proprio nucleo familiare e, al tempo stesso, incrementare il suo patrimonio. Appare, allora, fondata la presunzione di illecita accumulazione in ordine ai beni di cui è titolare Ciconte, anche per mezzo dei suoi familiari e segnatamente della moglie De Caria Assunta».
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