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GORGOGLIONE – Hanno indagato per un anno, dopo la denuncia presentata dal sindaco Carmine Nigro, e nei giorni scorsi gli agenti della questura di Matera, hanno notificato l’avviso di conclusione delle indagini a Clemente Paternò, 60enne ex capo del settore Ragioneria del Comune di Gorgoglione, accusato di peculato e falso ideologico, aggravati e continuati.
Secondo l’accusa, con un ingegnoso meccanismo contabile, il ragioniere avrebbe trafugato dalle casse comunali 407mila euro nel periodo di riferimento delle indagini, ovvero dal 2010 a maggio 2020. Secondo le testimonianze acqisite, però, pare che il raggiro fosse iniziato nel 2004, ma è un periodo ormai soggetto a prescrizione.
Paternò è originario di Cropalati nel Cosentino; ex perito meccanico, è entrato nell’organico comunale come operaio generico con la Legge Senise (per il terremoto) nel 1987. Verso la metà degli anni Novanta è andato in pensione lo storico ragioniere del Comune, quindi lui dopo aver acquisito il diploma di ragioniere da privatista ha partecipato e vinto il concorso e dal 2003-2004 è entrato di ruolo come capo settore con indennità di Po (posizione organizzativa). Percepiva, dunque, uno stipendio di tutto rispetto, ma se le accuse fossero tutte confermate, evidentemente non gli bastava.
Così avrebbe iniziato a fare la cresta sulle casse comunali; cifre importanti, ma non particolarmente impegnative. Gli investigatori della Squadra Mobile, hanno accertato che l’indagato nel corso degli anni avrebbe emesso 34 falsi mandati di pagamento a favore di un suo zio e di sua moglie. La banca che svolge i servizi di Tesoreria per conto del Comune, la Bper di Gorgoglione, una volta ricevuti i mandati, indotta in errore effettuava i relativi bonifici sui conti intestati allo zio e alla coniuge del funzionario infedele. Quest’ultimo, poi, effettuava frequenti prelievi in contanti da quei conti, di cui era cointestatario, di fatto prosciugandoli.
Le complesse indagini, consistite in accertamenti patrimoniali, acquisizioni documentali, analisi di tabulati telematici, escussione di persone informate su quanto accaduto, hanno permesso di ricostruire i fatti contestati, commessi dal mese di agosto del 2010 al mese di maggio del 2020. È stato, inoltre, acquisito l’indirizzo Ip dal quale l’indagato con il proprio smartphone si era collegato al sito del Comune, per disporre un mandato di pagamento. Secondo l’accusa, Paternò, che oggi vive a Policoro, formava un primo falso mandato, simulando pagamenti per importi Iva dovuti all’Erario col metodo della scissione dei pagamenti, cioè pagamenti per servizi fittizi forniti da altri enti pubblici.
Successivamente produceva un secondo falso mandato –con stesso oggetto, numero e importo del primo ma diverso beneficiario– che corrispondeva al suo parente o coniuge. Inserendo come beneficiario fittizio del primo falso mandato un qualsiasi ente pubblico, l’indagato limitava così il rischio dei controlli successivi sulla contabilità del Comune. Ciò gli consentiva di limitarsi a falsificare i soli mandati, non essendo necessari per i pagamenti dell’Iva le determine di impegno e di liquidazione, di competenza di altri uffici di quell’ente.
L’uomo è stato sottoposto a procedimento di licenziamento per giusta causa, a cui si è opposto. «Il mio assistito -ha spiegato l’avvocato Gianni Di Pierri, difensore di Paternò- contesta tutti gli addebiti; quanto agli aspetti penalmente rilevanti, ad oggi Paternò ha soltanto ricevuto la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, in sede civile invece ha impugnato il licenziamento e la causa è attualmente pendente presso il tribunale del Lavoro di Matera.
Nell’una e nell’altra delle sedi giudiziarie, Paternò si difenderà dalle accuse mossegli. In ogni caso, ferme restando le iniziative giudiziarie in corso, valga per lui quello che dovrebbe valere per tutti, ovvero il principio costituzionale di non colpevolezza; un principio di civiltà giuridica che dovrebbe consentire di evitare, sempre e comunque, di emanare giudizi sommari infondati e spesso ben più dannosi delle sentenze vere e proprie».
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