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LOCRI (RC) – 
Marianna Barbaro  la moglie del boss di San Luca Giuseppe Pelle alias “Gambazza”, accusata di aver aiutato il marito ad ottenere certificati medici che attestavano falsamente che l’uomo soffriva gravemente di depressione con l’obiettivo di aiutarlo ad evitare la detenzione in cella. E XXXXXXX Antonio Pelle, il figlio del boss.
Alla donna veniva contestata in particolare una telefonata del due marzo 2010 al servizio di pronto soccorso con richiesta di intervento urgente e la descrizione di una sintomatologia inesistente. Secondo l’accusa, Marianna Barbaro in quell’occasione ha consapevolmente fornito un “contributo partecipativo materiale” alla messa in scena dei fittizi malesseri del coniuge al fine di precostituire certificazione sanitaria falsa da usare poi per ottenere la scarcerazione. Una messinscena alla quale avrebbe partecipato in modo attivo anche il figlio.
GIA’ CONDANNATI I MEDICI COMPIACENTI – Nell’ottobre scorso, era arrivata la condanna per i sanitari coinvolti nella vicenda. Per loro il processo si è svolto con rito abbreviato. Si tratta del medico del pronto soccorso di Locri (all’epoca in servizio al 118), Francesco Moro e del dottore Guglielmo Quartucci, titolare della casa di cura “Villa degli Oleandri” di Mendicino entrambi imputati nell’ambito del processo stralcio scaturito dall’operazione “Reale – Ippocrate”. Per questo erano accusati e sono stati condannati in primo grado a tre anni e due mesi di reclusione. una condanna più lieve rispetto ai quattro anni e otto mesi chiesti dal pm della Dda di Reggio Calabria, Giovanni Musarò, ma che nella sostanza accoglie l’impianto accusatorio impostato dalla Procura. Per entrambi l’accusa era di concorso in falsa attestazione in atti destinati all’autorità giudiziaria e falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici. Con l’aggravante di aver commesso illeciti aggravati dalle finalità mafiose.
IL MECCANISMO PER FAR USCIRE IL BOSS – Al boss Giuseppe Pelle i medici procuravano certificati medici falsi, per attestare che le sue condizioni di salute erano incompatibili con la detenzione carcerario. Secondo l’inchiesta, infatti i due medici sarebbero stati ingranaggi fondamentali di quella macchina pressoché perfetta che avrebbe dovuto permettere – come già successo in passato – al boss Giuseppe Pelle di uscire dal carcere a causa di presunte patologie neuropsichiatriche, incompatibili con il regime detentivo. Il boss infatti, nel tempo, si sarebbe precostituito una corposa cartella clinica per dimostrare di essere affetto da “depressione maggiore”. Una patologia difficile da Dimostrare ma altrettanto difficile da smentire. Allo scopo, secondo la Dda reggina era necessaria una recita ben studiata sulla base delle indicazioni che lo stesso dottor Moro, forniva a Pelle prima di intervenire su chiamata al 118. Pelle, nella sostanza, sapeva sempre quali sintomi accusare e l’atteggiamento da tenere. Oltre al boss anche la moglie, anch’essa indagato nella stessa inchiesta, sapeva cosa dire al telefono e cosa raccontare ai medici.Infatti, nel giorno prestabilito chiamava il servizio di pronto soccorso descrivendo – preoccupata – fantomatiche crisi respiratorie del marito. Al resto ci avrebbero pensato il dottor Moro prima, e il suo collega Guglielmo Quartucci, poi. Nella clinica convenzionata, di cui Quartucci è co-proprietario e responsabile, Pelle sarebbe infatti stato ricoverato più volte. Ottenendo la certificazione da utilizzare al momento dell’eventuale arresto, momento in cui avrebbe recitato la parte del depresso, con tanto di cartella clinica attestante, che gli avrebbe evitato il carcere. 
DA CASA I BOSS FANNO IL LORO MESTIERE – «Una volta ottenuti i domiciliari da casa i boss possono continuare a fare il loro mestiere». Così Samuele Lovato, il collaboratore di giustizia che ha puntato il dito contro il “sistema” delle scarcerazioni “facili” per motivi di salute dei boss di ‘ndrangheta. Il pentito, ex uomo d’onore del cosentino, è stato sentito a Locri nell’abito del processo.  «Io so che parecchie persone che appartengono alla malavita fanno richiesta – ha detto Lovato – e pilotano la loro uscita dal carcere facendo tramite i loro avvocati, facendo avere delle richieste e delle disponibilità da Villa degli Oleandri per finire a Villa degli Oleandri. Una volta arrivati a Villa degli Oleandri, fanno esattamente quello che facevano a Villa Verde cioè gonfiano le patologie, riportano sopra le cartelle farmaci che non vengono assolutamente somministrati, falsificano dei test».

LOCRI (RC) – Dopo i medici, anche il boss Giuseppe “Gambazza” Pelle, beneficiario delle false certificazioni, è stato condannato, insieme alla moglie e al figlio, per il raggiro che permetteva al capoclan della Locride di evitare la detenzione in carcere e di continuare così a comandare gli affari della ‘ndrina da casa. Pelle sconterà 8 anni. Quattro anni e sei mesi sono stati inflitti a sua moglie Marianna Barbaro, accusata di aver aiutato il marito ad ottenere certificati medici. E altri quattro anni e mezzo la corte li ha inflitti ad Antonio Pelle, il figlio del boss.
Alla donna veniva contestata in particolare una telefonata del due marzo 2010 al servizio di pronto soccorso con richiesta di intervento urgente e la descrizione di una sintomatologia inesistente. Secondo l’accusa, Marianna Barbaro in quell’occasione ha consapevolmente fornito un “contributo partecipativo materiale” alla messa in scena dei fittizi malesseri del coniuge al fine di precostituire certificazione sanitaria falsa da usare poi per ottenere la scarcerazione. Una messinscena alla quale avrebbe partecipato in modo attivo anche il figlio.
GIA’ CONDANNATI I MEDICI COMPIACENTI – Nell’ottobre scorso, era arrivata la condanna per i sanitari coinvolti nella vicenda. Per loro il processo si è svolto con rito abbreviato. Si tratta del medico del pronto soccorso di Locri (all’epoca in servizio al 118), Francesco Moro e del dottore Guglielmo Quartucci, titolare della casa di cura “Villa degli Oleandri” di Mendicino entrambi imputati nell’ambito del processo stralcio scaturito dall’operazione “Reale – Ippocrate”. Per questo erano accusati e sono stati condannati in primo grado a tre anni e due mesi di reclusione. una condanna più lieve rispetto ai quattro anni e otto mesi chiesti dal pm della Dda di Reggio Calabria, Giovanni Musarò, ma che nella sostanza accoglie l’impianto accusatorio impostato dalla Procura. Per entrambi l’accusa era di concorso in falsa attestazione in atti destinati all’autorità giudiziaria e falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici. Con l’aggravante di aver commesso illeciti aggravati dalle finalità mafiose.
IL MECCANISMO PER FAR USCIRE IL BOSS – Al boss Giuseppe Pelle i medici procuravano certificati medici falsi, per attestare che le sue condizioni di salute erano incompatibili con la detenzione carcerario. Secondo l’inchiesta, infatti i due medici sarebbero stati ingranaggi fondamentali di quella macchina pressoché perfetta che avrebbe dovuto permettere – come già successo in passato – al boss Giuseppe Pelle di uscire dal carcere a causa di presunte patologie neuropsichiatriche, incompatibili con il regime detentivo. Il boss infatti, nel tempo, si sarebbe precostituito una corposa cartella clinica per dimostrare di essere affetto da “depressione maggiore”. Una patologia difficile da Dimostrare ma altrettanto difficile da smentire. Allo scopo, secondo la Dda reggina era necessaria una recita ben studiata sulla base delle indicazioni che lo stesso dottor Moro, forniva a Pelle prima di intervenire su chiamata al 118. Pelle, nella sostanza, sapeva sempre quali sintomi accusare e l’atteggiamento da tenere. Oltre al boss anche la moglie, anch’essa indagato nella stessa inchiesta, sapeva cosa dire al telefono e cosa raccontare ai medici.Infatti, nel giorno prestabilito chiamava il servizio di pronto soccorso descrivendo – preoccupata – fantomatiche crisi respiratorie del marito. Al resto ci avrebbero pensato il dottor Moro prima, e il suo collega Guglielmo Quartucci, poi. Nella clinica convenzionata, di cui Quartucci è co-proprietario e responsabile, Pelle sarebbe infatti stato ricoverato più volte. Ottenendo la certificazione da utilizzare al momento dell’eventuale arresto, momento in cui avrebbe recitato la parte del depresso, con tanto di cartella clinica attestante, che gli avrebbe evitato il carcere. 
DA CASA I BOSS FANNO IL LORO MESTIERE – «Una volta ottenuti i domiciliari da casa i boss possono continuare a fare il loro mestiere». Così Samuele Lovato, il collaboratore di giustizia che ha puntato il dito contro il “sistema” delle scarcerazioni “facili” per motivi di salute dei boss di ‘ndrangheta. Il pentito, ex uomo d’onore del cosentino, è stato sentito a Locri nell’abito del processo.  «Io so che parecchie persone che appartengono alla malavita fanno richiesta – ha detto Lovato – e pilotano la loro uscita dal carcere facendo tramite i loro avvocati, facendo avere delle richieste e delle disponibilità da Villa degli Oleandri per finire a Villa degli Oleandri. Una volta arrivati a Villa degli Oleandri, fanno esattamente quello che facevano a Villa Verde cioè gonfiano le patologie, riportano sopra le cartelle farmaci che non vengono assolutamente somministrati, falsificano dei test».

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