Giuseppe Provenzano, vicesegretario del Pd ed ex ministro del Sud
3 minuti per la letturaCOSENZA – Il Pd in Calabria ha molti tratti simili al vecchio Pci raccontato da Nanni Moretti nel film “Palombella rossa”.
Siamo nel 1989 ed è appena caduto il Muro. Moretti interpreta un funzionario del partito, che incalzato da un giornalista su dove volesse andare il Pci, risponde che «vuole guardare al nuovo, aprire le porte del partito a tutti, ai giovani, alle donne, ai movimenti…» e poi canta “E ti vengo a cercare” di Battiato.
Ecco il Pd calabrese, commissariato da due anni, somiglia molto al Pci di quegli anni. Non c’è la crisi ideologica raccontata nel film, ma una crisi di rappresentatività certamente sì.
La classe dirigente sembra interessata più alla sopravvivenza personale che al resto e, in assenza di occasioni e luoghi di confronto, i segnali che arrivano alla base sono contraddittori.
L’ultimo in ordine di tempo il webinar che ha visto come protagonista Beppe Provenzano che è il numero due del Nazareno.
Alla domanda della giornalista Mara Martelli sul percorso da scegliere per arrivare alle elezioni, Provenzano ha ribadito la necessità dell’accordo con i 5 Stelle in modo da trasformare le amministrative di ottobre in un pre test per le politiche. Ha poi ribadito che prima vengono le alleanze, e poi i nomi.
Il caso vuole, però, che un nome per le regionali il Pd lo abbia già ovvero Nicola Irto. Scelta venuta fuori da una riunione degli eletti del partito, ma senza che la proposta, effettuata a fine dicembre, sia mai stata portata al tavolo degli alleati. Che significano allora le dichiarazioni di Provenzano? Che quella di Irto non è ancora la candidatura ufficiale? Che il Pd è disposto a rinunciarvi?
In attesa che qualcuno indichi una linea definitiva tutto attorno al partito sembra esserci il deserto senza presenza sui territori, senza iniziative sui problemi della Calabria, con una deriva rappresentata da gruppi dirigenti in eterna lotta fra loro.
La base del partito però è in sofferenza perché il commissariamento totale del Pd calabrese (e ovviamente anche la pandemia), ha annullato ogni occasione di confronto. I segnali sono diffusi su tutto il territorio. Quello più curioso arriva da Crotone.
Qui un gruppo di 37 simpatizzanti e tesserati ha costituito il secondo circolo on line della Calabria, intitolato a Nilde Iotti. Al di là del tentativo di innovazione, la verità è che a Crotone il Pd è spaccato in due: da una parte ci sono i dirigenti che si riconoscono nella segretaria cittadina, Antonella Stefanizzi, e dall’altra i rappresentanti del circolo “virtuale” rappresentati da Sergio Contarino e Alessandro Milito. Due gruppi fra i quali ci sono scorie che arrivano dalle ultime comunali dove il Pd non ha presentato nè un candidato sindaco nè una propria lista.
Ancora scintille si registrano a Cosenza, città chiamata al voto in ottobre. Qui il gruppo dei Giovani Democratici ha scritto una lettera al segretario Enrico Letta in cui si chiede la testa del commissario provinciale Marco Miccoli.
La colpa del commissario sarebbe quella di coinvolgere nel famoso “sistema Cosenza” ovvero i tavoli che dovranno portare alla designazione di una candidatura unitaria del centrosinistra, esponenti della destra cittadina, alcuni con ruoli politici nell’amministrazione uscente di centrodestra mentre «gli elettori del centrosinistra e gli iscritti al Pd rimangono gravemente inascoltati, ignorati e privati di un momento di ascolto e confronto».
Una polemica che ha portato l’ex consigliere regionale, Giuseppe Giudiceandrea a dimettersi dall’incarico di coordinatore provinciale dei Forum tematici. Sempre in provincia di Cosenza, oltre 100 iscritti a San Giovanni in Fiore hanno fortemente contestato sia il commissario provinciale Miccoli, sia quello cittadino Pietro Lecce accusandoli di non aver garantito la campagna di tesseramento al di là del sistema on line.
Ma non è solo Cosenza in subbuglio. Ha fatto molto rumore, ad esempio, quanto accaduto a Vibo Valentia in cui addirittura era stata annunciata una raccolta di firme per chiedere la rimozione del commissario regionale Stefano Graziano. Anche qui la sua colpa è quella della mancata possibilità di ogni confronto interno al partito.
Insomma confronto è quello che chiede la base e se proprio un congresso non può essere celebrato, magari altri strumenti di partecipazione possono essere tirati fuori. Tipo le primarie che lo stesso ex segretario Zingaretti guarda caso ha rispolverato per le amministrative di Roma.
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