4 minuti per la lettura
Il 12 aprile 1943 (69 anni fa) a Cosenza la guerra portò la sua scia di morte.
Per non dimenticare quella orribile carneficina, che portò morte e distruzione, l’Universitas Vivariensis, ha promosso per giovedì 12 aprile 2012, in ricordo dei tragici fatti di 69 anni fa, una passeggiata per ripercorrere i luoghi che hanno visto le prime bombe su Cosenza. Appuntamento alle ore 17 davanti la sede del Coni (ex stazione ferroviaria) e conclusione nella Chiesa di San Gaetano dove è conservata la lapide con i nomi di tutti i cosentini civili morti sotto i bombardamenti. Per ripercorrere quel tragico pomeriggio lascio la parola a Stefano Vecchione che ha redatto questo testo:
«È il 12 aprile 1943, il sole si abbassa sulla Catena paolana quando intorno alle ore 17 nella stazione di Cosenza delle Ferrovie calabro-lucane sono in procinto di partire due treni, il primo diretto a Pedace e Rogliano, l’altro a San Pietro in Guarano. Gli scomodi sedili in legno delle carrozze raccolgono i pendolari, studenti, operai, professionisti, impiegati, militari, probabilmente circa settecento persone, che, una volta terminata la loro giornata di lavoro, ciascuno preso dai suoi pensieri a pregare che la guerra finisca presto, si accingono a ritornare a casa. All’improvviso l’urlo lacerante delle sirene annuncia un pericolo imminente, di una guerra che è rimasta per lunghi anni lontana, in Africa e in Grecia, nessuno pensa a un possibile attacco degli alleati, e così, nessuno, proprio nessuno, si muove per raggiungere il rifugio antiaereo nella galleria di colle Triglio, che congiunge la stazione di Cosenza con quella di Casali, oltre il ponte di ferro sul Crati. Ad un tratto si stagliano nel cielo turchese e rosso dell’imbrunire i caccia-bombardieri della United states army Air force, decollati dai «military airfield» dell’Africa e quelli della Royal air force di Malta. Con gli occhi rivolti all’insu, cosentini e militari guardano ammirati gli aerei, ascoltano il rombo cupo dei motori che diventa sempre più assordante. Ancora non si pensa a ripararsi, la curiosità sovrasta la paura quando ci si accorge che la formazione dei bombardieri, proveniente dal Savuto, sorvola Cosenza e si dirige verso Nord. Un altro pericolo scampato, pensano tutti, bisogna far presto a riprendere posto sui treni che a causa della guerra sono in continuo ritardo rispetto all’orario di partenza, anche se ancora le sirene non hanno annunciato il cessato allarme. Gli aerei nemici sono scomparsi verso il Pollino dove ci sono le basi dei potenti carri tigre tedeschi e l’aeroporto militare di Sibari o si dirigono, qualcuno pensa ad alta voce, sull’aeroporto di Camigliatello Bianchi in Sila. Il capostazione fa trillare il suo fischietto dopo il rifornimento d’acqua, carrozze i capotreni suonano la loro cornetta d’ottone, i macchinisti sono pronti ad azionare lo stridulo fischio delle locomotive per annunciare la partenza dei due treni mentre gli stantuffi sbuffano lanciando il classico fumo bianco, quando qualcuno si accorge che la squadra aerea anglo-americana ha invertito la rotta e si dirige nuovamente su Cosenza che scivola rapidamente verso un destino preordinato al quale nessuno può sottrarsi. I caccia-bombardieri sono già sulla città, ormai è tardi per la difesa, le postazioni antiaeree istallate nei punti più alti come il castello, con i loro obsoleti cannoni e le mitragliere risalenti alla prima guerra mondiale, non riescono a sparare un solo colpo. È la fine, tutti comprendono che questa volta la guerra ha raggiunto la capitale dei Bruzi, molti passeggeri dei treni, militari e civili, le altre persone che serene camminano sui marciapiedi del nuovo centro cittadino tutto intorno alla chiesa del Carmine, si buttano a terra, quando rapidi raggiungono il suolo i filari di bombe, un’enorme sfera di fuoco, colma di schegge roventi, tutto avvolge carbonizzando all’istante. Si susseguono assordanti i boati, le fiamme, il fumo, la polvere dei palazzi colpiti che crollano, e le urla di dolore e di paura di uomini e donne. I più lontani sono colpiti da un vento ad altissima temperatura, è una carneficina, lungo il tratto di volo dei bombardieri è desertificazione, case distrutte, tanti corpi straziati di cui è difficile fare la conta ed è impossibile il loro riconoscimento, anche i più piccoli, innocenti, sono colpiti a morte. Per i sopravvissuti è solo la soglia iniziale di un inferno che avrà termine con l’autunno inoltrato del dopo 8 settembre 1943, quando la guerra per gli italiani finisce proprio qui in Calabria. Cosenza, importante nodo di comunicazioni tra il Tirreno, lo Jonio e l’Adriatico, nel corso dell’estate è violentemente bombardata più volte, la popolazione costretta a raggiungere i casali o a trascorrere lunghe ore nel buio più totale della galleria ferroviaria del colle Triglio e negli altri rifugi allestiti con grande approssimazione, i treni si fermano completamente. Ancora peggiore è la mancanza di luce, la linea elettrica è danneggiata pesantemente in qualche parte, perciò né luce, né petrolio o candele».
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA