Mario Draghi
6 minuti per la letturaChe cosa ha fatto il governo Draghi per attuare la coerenza meridionalista del programma e invertire brutalmente la rotta rispetto al ventennio precedente? Ha messo tutto ciò che si può provare a fare finanziare nel Pnrr con oltre il 50% delle infrastrutture per una mobilità sostenibile e il pieno dell’alta velocità ferroviaria, il 48% della banda digitale ultraveloce, il 48,9% dell’impresa verde e il 44,66 della transizione ecologica, cifre importanti per la scuola e la ricerca con una dote di oltre 14 miliardi. Al Mezzogiorno è stato assegnato il 40,47% netto (82 miliardi) sui 206 miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza ripartibili territorialmente. Ha messo invece nel fondo complementare con la stessa corsia preferenziale ciò che non sarebbe stato ammesso a finanziamento come la Salerno-Reggio Calabria (altri 9,4 miliardi) e progetto porti. Poi ci sono i bandi di gara per asili nido e altro. Tutto però dipende da macchina esecutiva e governance nuove. Questa è la vera clausola di garanzia del Sud
Facciamo un po’ di chiarezza sui numeri del Recovery Plan che riguardano il Mezzogiorno perché il dibattito è pericolosamente inquinato da un giro largo di cantastorie e capipopolo. L’ordine di grandezza dell’intervento non ha precedenti e supera nettamente in euro equivalenti il flusso di spesa pubblica attivato nel decennio d’oro (’51-’61) della Cassa del Mezzogiorno nel Dopoguerra del miracolo economico italiano.
Chiariamoci bene fino in fondo. In un arco temporale di cinque anni si mobilita oggi più capitale pubblico produttivo di quanto in un periodo doppio (dieci anni) si trasferì alle regioni meridionali negli anni in cui maggiormente si investì per ridurre il divario tra le due Italie e la lira vinse l’oscar mondiale delle monete. Al Mezzogiorno è stato assegnato il 40,47% netto (82 miliardi) sui 206 miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza ripartibili territorialmente. A questi, però, andrà aggiunta la quota che verrà aggiudicata sulla base di bandi di gara per un importo complessivo di 20 miliardi e qui, soprattutto su asili nido e sociale, si presume che la partita che i territori meridionali possono giocare è decisamente favorevole. Dove, però, i numeri sono già certi e straordinariamente rilevanti per favorire la convergenza tra le due aree del Paese è nella distribuzione delle risorse del Fondo complementare e del piano di accompagno che è l’intuizione più importante di questo progetto di rinascita dell’Italia e la prova fisica della coerenza meridionalista dell’intero programma di interventi.
Che cosa è il Fondo complementare? Sono i 40 miliardi elevabili a 50 che, seguendo il modello francese, il governo Draghi ha deciso di mettere di suo per fare in modo che l’intero programma di Next Generation Ue avesse in tutto e per tutto i requisiti di Progetto Paese. Dei 40/50 miliardi di risorse tutti erogabili con le procedure accelerate del Next Generation Eu (l’obiettivo è un processo autorizzativo che passa da 30 mesi a massimo 2) ma senza i vincoli né temporali di fine opera né tecnici in partenza su piano di massima e progetto esecutivo, ci sono 9,4 miliardi di alta velocità ferroviaria per la Salerno-Reggio Calabria, una quota molto rilevante per la portualità commerciale e la grande logistica del Mezzogiorno e 16 miliardi di restituzione delle risorse del Fondo di sviluppo e di coesione.
Per capirci, siamo in termini di risorse nette al doppio esatto della prima proposta della bozza del governo Conte 2 ma con gli interventi attivati dal fondone complementare che fa parte del progetto organico e con i bandi di gara aperti si può partire dal 50% dell’intera dotazione ma si può ancora salire di molto. Il punto, però, è un altro.
Che cosa ha fatto il governo Draghi per attuare la coerenza meridionalista del programma e invertire brutalmente la rotta rispetto al ventennio precedente? Ha messo tutto ciò che si può provare a fare finanziare nel Pnrr con oltre il 50% delle infrastrutture per una mobilità sostenibile e il pieno assoluto dell’alta velocità ferroviaria, il 48% della banda digitale ultra veloce, il 48,9% dell’impresa verde e il 44,66 della transizione ecologica, cifre da record mai viste per la scuola e la ricerca con una dote di oltre 14 miliardi e quote di quasi il 50% nei capitoli di spesa più qualificante.
Attenzione, però, tutto ciò che non era presentabile perché non c’era uno straccio di progetto serio pronto o perché se non faccio prima il mega investimento di elettrificazione della rete non posso farci correre sopra i treni veloci, non lo cestino, anzi. Che mi invento, allora? Progetti e risorse (Salerno-Reggio Calabria, porti e molto altro) li metto nel fondo che ha le stesse corsie preferenziali di spesa ma può disporre di un calendario più lungo che va oltre il Piano nazionale di ripresa e resilienza senza vedersi cancellati i finanziamenti. Questo significa ragionare da sistema Paese e questo è quello che è accaduto. A tutto ciò vanno aggiunti gli 8 miliardi del React Eu che sono tutti impegnati ancora in scuola e lavoro già comunicati a Bruxelles e i 16 miliardi del Fondo di sviluppo e coesione che sono certi, disponibili, spendibili (nella precedente bozza non lo erano) ma che si dovrebbe avere il coraggio di investire massicciamente nel Ponte sullo Stretto che è il moltiplicatore naturale della domanda di tutte le alte velocità e capacità ferroviarie in via di realizzazione che sono Napoli-Bari, Salerno-Reggio Calabria, Palermo-Catania-Messina.
C’è piena consapevolezza che l’Italia potrà vincere la sfida del Mediterraneo solo se si sapranno fare, non annunciare, gli investimenti appena elencati ma è evidente che la bandiera del Ponte sullo Stretto avrebbe per la leadership dell’Europa nel Mediterraneo tramite l’Italia lo stesso effetto di orgoglio che ha avuto la realizzazione in un anno e quattro mesi del ponte Morandi per Genova e la sua comunità dilaniata dal dolore e dalla rabbia. Siamo di fronte a una massa cumulata di risorse che parte da 120 miliardi per potere crescere ancora. Che prevede un impatto sul Pil del 2026 pari al 22,4% contro il 13,2% del centro nord di stretta pertinenza del Pnrr. Al netto, cioè, dei contributi di Pil che possono venire dall’utilizzo degli altri fondi europei extra Pnrr.
L’unica cosa che non si può più dire è che manchino i soldi. Evitiamo per piacere la demagogia e sosteniamo con forza una riforma della pubblica amministrazione e della macchina progettuale e di gestione degli investimenti di cui abbiamo bisogno come il pane. Sosteniamo con forza una governance tecnica al Ministero dell’Economia e una supervisione politica a Palazzo Chigi che permetta di riunire presso di essa tutti i tipi di autorizzazione aumentando trasparenza e efficienza. Questa è la prima delle clausole di salvaguardia del Mezzogiorno. Pretendiamo che i reclutamenti nelle amministrazioni comunali avvengano secondo criteri rigorosamente meritocratici sottraendoli alle gestioni elettorali.
I Capi delle Regioni del Sud se hanno un minimo di rispetto per le donne e gli uomini del Mezzogiorno facciano una battaglia comune per il Ponte sullo Stretto evitando la solita pratica dei soliti progetti clientelari che peraltro non riuscirebbero neppure ad avere un euro di finanziamento. Facciano un’associazione di interessi perché il disegno di sviluppo integrato così chiaramente delineato abbia anche l’anello di congiunzione che può moltiplicare i tassi di sviluppo di tutte le regioni meridionali. Il resto lo devono fare le istituzioni preposte e le imprese facendo progetti buoni perché il Mezzogiorno che non si arrende e vive di mercato sa fare meglio e di più di chiunque altro. Quello che non può più accadere è che lo stesso commissario riesca a fare camminare il progetto della Napoli-Bari e non quello della Palermo-Catania-Messina perché in questo caso il problema non sono i soldi ma le beghe e gli interessi locali. La tomba di sempre di tutti i buoni propositi meridionali.
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