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POTENZA – Non sono passate 24 ore dall’ultima “strigliata” del sindaco Scavone e del commissario dell’Asi di Potenza, dopo la pubblicazione delle notizie sulla contaminazione radioattiva nell’area dell’ex Liquichimica. Ed ecco la firma che mancava tra Regione e Ministero per far partire la bonifica dei siti d’interesse nazionale di Tito e della Val Basento. 

Sono oltre 46 milioni di euro quelli sbloccati “in fretta e furia” ieri mattina a Roma per 10 distinti interventi di ripristino ambientale finanziati principalmente con il Fondo di sviluppo e coesione per promuovere la riconversione industriale, la reindustrializzazione e la riqualificazione economica dei siti mediante operazioni che consentano e favoriscano lo sviluppo di attività produttive ecosostenibili capaci di assicurare la valorizzazione delle forze lavorative dell’area.

È quanto previsto dall’accordo di programma quadro firmato tra Regione Basilicata, Ministero dello Sviluppo economico e dal Ministero dell’Ambiente, che prevede anche l’attivazione di un sistema di gestione e controllo della spesa (Sigeco) e procedure per assicurare la celerità dei procedimenti autorizzativi degli interventi di caratterizzazione, di bonifica e di ripristino ambientale.

Gli interventi previsti al momento sono in fase preliminare e dopo tutti gli studi di carattezzazione effettuati, e le integrazioni da ultimare, nel prossimo autunno saranno consegnate le progettazioni esecutive, dipodiché inizieranno i lavori veri e propri. 

Sei progetti saranno avviati nella Val Basento, quattro nell’area industriale di Tito.

La bonifica nella Val Basento prevede il completamento dell’esecuzione della caratterizzazione dell’area ex pista Mattei (1,7 mln), il completamento della messa in sicurezza e bonifica acque di falda delle sole aree di competenza pubblica (10,8mln), la bonifica dei suoli delle aree pubbliche nonché di quelle agricole colpite da inquinamento indotto (3,2mln), il completamento della caratterizzazione delle acque superficiali e dei sedimenti dell’asta fluviale del fiume Basento, il completamento della progettazione degli interventi di Mise e la bonifica delle acque superficiali e dei sedimenti dell’asta fluviale del fiume Basento (1 milione). Poi ancora la realizzazione della messa in sicurezza e la bonifica delle acque superficiali e dei sedimenti dell’asta fluviale del fiume Basento (3 mln) e la progettazione e realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica del sito ex Materit (3,7 mln) dove sono su una superficie di 76mila metri quadri sono tutt’ora custoditi tra i 10 e i 25mila metri cubi di materiale contaminato da amianto, infilato in dei grossi sacconi di plastica.

Nel sito d’interessa nazionale di Tito Scalo, invece, i fondi assicureranno la prosecuzione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle acque di falda (11 mln) già avviati nel 2007 dopo l’autodenuncia dell’inquinamento causato dalla Daramic. A questi si aggiunge la bonifica dell’area fluviale del torrente Tora, un affluente del Basento, a valle della zona industriale (3 mln), la messa in sicurezza e bonifica delle scorie siderurgiche della Sider Potenza (3,2 mln) e la messa in sicurezza e bonifica del bacino fosfogessi dell’ex Liquichimica. Quest’ultimo intervento prevede un impegno di spesa di 6 milioni di euro.

«La bonifica non parte dall’anno “zero”». Spiega la nota diffusa ieri in mattinata dalla Regione. «Infatti – spiega più avanti – i nuovi interventi integreranno quelli già finanziati e attuati nei due siti. In passato, in quello della Val Basento sono già stati avviati interventi per oltre 4 milioni con particolare riguardo alla messa in sicurezza delle aree agricole e alla progettazione degli interventi di messa in sicurezza della subalvea. A Tito, invece, mezzo milione di euro è stato destinato alle indagini preliminari e alla caratterizzazione geochimica delle aree non interessate da insediamenti produttivi».

E’ stata quindi superata l’ultima questione in sospeso su cui da marzo di due anni fa – per un’obiezione della Regione – si era bloccato tutto, ovvero il tipo di barriera da realizzare per bloccare la propagazione dell’inquinamento dalla falda sotto l’area industriale di Tito Scalo al bacino idrografico del Basento.

Peraltro proprio il dato sull’immissione nelle acque sotterranee dei radionuclidi provenienti dalla discarica di fosfogessi dell’ex Liquichimica è quello che desta più sconcerto del rapporto depositato due settimane fa dai tecnici del Centro radiologico dell’Arpab.

Poi ci sono i fosfogessi veri e propri, lascito dell’azienda che ha chiuso i battenti nel 1989 trasformato in contenitore “temporaneo” per i fanghi prodotti dal depuratore di Potenza. Per loro  i valori di concentrazione di figli e nipoti radioattivi dell’Uranio sono risultati «certamente superiori» ai dati storici dei monitoraggi in regione dell’Arpab, mediamente inferiori a 100 Bq/Kg (unità di misura dell’attività di un radionuclide, ndr). Di fatto , quello del Radio, a seconda del «diverso grado di mescolamento con terreno o materiale di diversa natura/origine (compreso il materiale inerte)» in alcuni punti si aggirerebbe anche tra i 459 e i 2461 Bq/Kg rispetto a una soglia limite prevista dalla legge, oltre la quale è obbligatoria «l’adozione di azioni di rimedio» a tutela degli «individui esposti», di 500 Bq/Kg. Motivo per cui le operazioni di bonifica vengano effettuate adottando cautele particolari a tutela dei lavoratori, che potrebbero anche far lievitare il costo complessivo dell’operazione.

 

LE COMMESSE

Il prosieguo della messa in sicurezza della falda acquifera sotto Tito Scalo contaminata da varie sostanze e la sua bonifica definitiva. La fetta più grossa dei 23 milioni stanziati per i due siti d’interesse nazionale servirà per questo sulla scia di quanto effettuato fin’ora in via emergenziale. Già nel 2007 infatti Ministero, Regione e gli altri convocati per decidere sul da farsi dopo l’autodenuncia dell’inquinamento provocato dalla Daramic avevano optato per una soluzione drastica: barriere per evitare fuoriuscite dall’area industriale, pompaggio continuo dell’acqua inquinata, infine smaltimento in un impianto idoneo. Chiaro che per prima cosa bisognava capire bene di che cosa si stesse parlando: prelevare dei campioni, analizzarli e attribuire un codice adeguato a quel tipo di rifiuto. Solo che da allora le acque della falda di Tito Scalo quel codice l’avrebbero cambiato ben tre volte col risultato che se all’inizio poteva andare bene utilizzare l’impianto di proprietà del Consorzio industriale, che si trova a San Nicola di Melfi sfruttando al meglio, in economia, i propri mezzi a disposizione (a Potenza ce n’è un altro, ma è meno efficace nel trattamento di rifiuti liquidi speciali), alla fine l’affare se lo sarebbe accaparrato un privato. Insomma delle due l’una: o i valori di contaminazione della falda acquifera cambiano in continuazione, o qualcuno di quelli che hanno svolto le analisi ha preso un bel granchio. Ditte di tutto rispetto, come la Ageco di Potenza o la Lucana Spurghi di Bernalda. Mentre la ditta che ancora oggi smaltisce quei liquami è Tecnoparco Valbasento nella zona industriale di Pisticci, candidata ad accaparrarsi il grosso anche di quello che resta da fare.


l.amato@luedi.it


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