Erdogan e Al Sisi, due dittatori alla guida di Turchia e Egitto
3 minuti per la letturaIl problema dell’Italia anche in politica estera è la memoria corta. Ci hanno sostenuto gli europei e gli Usa contro Al Sisi per il caso Regeni? Ci sosterranno adesso contro Erdogan?
Ognuno si può dare la risposta che vuole. Qui esaminiamo i fatti. Dopo il caso di Giulio Regeni, lo studente italiano assassinato dai poliziotti egiziani, mai una volta gli europei e gli Stati Uniti, che sostengono da sempre il regime egiziano, hanno detto una parola di solidarietà nei confronti dell’Italia.
E allora cosa hanno fatto gli italiani? Hanno provato a chiedere giustizia ma forse senza sufficiente convinzione visto che da anni regolarmente Al Sisi ci prende in giro nonostante le prove schiaccianti della procura di Roma della colpevolezza degli agenti del Cairo per la tortura e la morte di Regeni. Poi è scoppiato pure il caso Zaki e anche lì non si è visto neppure uno spiraglio di giustizia o di solidarietà europea, anzi lo studente egiziano dell’università di Bologna viene tenuto in carcere senza nessuna accusa credibile.
Il risultato di questi sforzi da parte dell’Italia si sono tradotti nel fatto che i nostri governi si sono rassegnati a non avere giustizia rassegnandosi a fare affari con Al Sisi. Il messaggio è chiaro: ci possono comprare come e quando vogliono. Al punto che oggi abbiamo dieci miliardi di euro di commesse con il Cairo soprattutto nel settore bellico. Il dittatore egiziano, che si fregia della Legion d’Onore assegnata da Macron, non è stato neppure citato da Draghi nel suo discorso di insediamento al senato. Un segnale assai chiaro che ormai la parola giustizia per il caso Regeni è passata in fanteria per dare via libera al business. Queste sono cose che sulla scena internazionale si notano e non sono sfuggite ai nostri partner nel Mediterraneo.
Il premier Draghi ha invece attaccato Erdogan definendolo un “dittatore ma che ci fa comodo”. Da qui è esploso un ennesimo caso diplomatico. Alcuni sostengono che Draghi ha fatto bene: non solo perché ha detto la verità ma punta sul presunto sostegno che gli Stati Uniti ci daranno in Libia dove la Turchia la fa da padrone in Tripolitania. Erdogan ieri ha convocato ad Ankara il primo ministro libico e 14 ministri. Tanto per far capire a noi, agli europei e agli Usa chi comanda davvero in Tripolitania.
Del resto Erdogan, che come Al Sisi tiene in carcere migliaia di prigionieri politici, ha ottenuto in Libia una clamorosa vittoria militare sconfiggendo il generale Khalifa Haftar, i mercenari russi e tutti i suoi alleati. Questa vittoria gliela abbiamo regalata da noi. Nel 2019 il governo libico aveva chiesto aiuto militare a noi, insieme a Usa e Gran Bretagna, e lo abbiamo rifiutato, proprio mentre Haftar minacciava di invadere Tripoli. Quindi si è rivolto alla Turchia di Erdogan.
Quando si commettono errori di questo genere, il secondo in Libia dopo quello di avere bombardato Gheddafi nel 2011, ci sono poche speranze di rimediare. Soprattutto da parte dell’Italia che non è in grado di muovere sul terreno neppure un soldatino di cioccolata. Dobbiamo quindi puntare sul sostegno dell’Europa? I nostri partner europei sono anche nostri concorrenti e non vedono l’ora di prendere se possibile qualche commessa in Turchia, sempre che Erdogan, in piena crisi economica, sia in grado di pagare. Per ora sono i cinesi ad approfittare dei prezzi da saldo dei turchi per comprare infrastrutture, ponti sul Bosforo e porti.
Non facciamoci illusioni. Forse con Erdogan finirà come con l’Egitto: ci inchineremo al dittatore di turno e riprenderemo a fare affari. Business as usual.
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