X
<
>

Share
5 minuti per la lettura

I CORPI di Antonio e Antonino Stefanelli e di Franco Mancuso, esponenti della ‘ndrangheta torinese uccisi nel 1997, non sarebbero stati sepolti nei boschi di Volpiano ma in un’altra località del Canavese: lo sostiene una lettera anonima indirizzata ai carabinieri di Volpiano che è stata letta stamane durante l’udienza del processo nel quale sono stati chiesti cinque ergastoli per il delitto dal presidente della Corte di assise, Pietro Capello. Nella missiva l’anonimo sostiene che a seppellire i corpi non sia stato Rosario Marando, l’imputato che aveva indicato il luogo della sepoltura facendo partire le ricerche dei cadaveri, ma un altro individuo nei confronti del quale dice di essere creditore. 

LA STORIA. Un’area di 32mila metri quadri è stata delimitata e recintata a Volpiano (Torino) nel corso del sopralluogo di stamane per la ricerca del luogo in cui sarebbero stati sepolti i corpi di Antonio e Antonino Stefanelli e di Franco Mancuso, i tre uomini uccisi in una faida di ‘ndrangheta nel 1997. L’area è stata delimitata su indicazione di uno degli imputati per il triplice omicidio, Rosario Marando, dopo che giovedì, nel processo in corte di assise, aveva detto che sarebbe stato in grado di indicare il luogo della sepoltura. Il sopralluogo di giovedì si era chiuso senza esito e le ricerche erano state rimandate a oggi. Alle attività di stamane hanno partecipato il giudice Pietro Capello, i pm Roberto Sparagna e Monica Abbatecola e i legali della difesa. Adesso l’area sarà passata al vaglio dei metal detector alla ricerca di oggetti metallici che potrebbero far individuare la presenza dei cadaveri. Liberati anche i cani specializzati nella ricerca per capire se davvero è lì che si trova quel che resta dei corpi delle tre vittime. 
LA FAIDA TRA LE FAMIGLIE CALABRESI. Il processo che dovrà chiarire come si consumò la faida tra gli Stefanelli e i Marando, una delle più cruente mai consumate in Piemonte, si arricchisce di un altro colpo di scena. Una faida di ‘ndrangheta. Da una parte la famiglia Stefanelli da Oppido Mamertina con base a Varazze e con un florido mercato di stupefacenti, dall’altra i Marando di Platì che nell’hinterland torinese hanno trapiantato una “locale” militarizzata e particolarmente feroce. Sono parenti, soci in affari. Si sono sposati tra di loro per rinsaldare – com’è uso nelle famiglie calabresi – i rapporti tra le “locali”. All’origine di tutto l’omicidio di Francesco Ciccio Marando, marito di Maria Stefanelli, figlia di Antonino, il cui corpo completamente carbonizzato venne ritrovato ai primi di giugno del 1996, nei boschi della Val Susa. Poi il suicidio in carcere di Rocco Stefanelli, che rimane ancora oggi avvolto nel mistero. 
Si soffocò con una busta di plastica lasciando un biglietto inequivocabile: «Mi uccido perché sento il rimorso di aver assassinato mio cognato Francesco Marando». Per i Marando, dietro la morte del congiunto non potevano che esserci gli Stefanelli, Antonio e Antonino, per l’esattezza cognato e suocero di Ciccio. I Marando preparano la vendetta. Organizzano tre appuntamenti, i primi due saltano. Al terzo appuntamento, i due Stefanelli, padre e figlio, si presentano nella villa dei Marando, nella frazione Tedeschi di Volpiano, accompagnati da due guardaspalle, Francesco Mancuso e Roberto Romeo. Tutti tranne Romeo furono uccisi sul posto e i loro cadaveri fatti sparire. 
LA TESTIMONIANZA DI MARANDO. Delitti che ora potrebbero essere ad una svolta grazie alle rivelazioni spontanee di Rosario Marando. Attualmente imputato insieme con altre persone nel processo per alcuni omicidi di ‘ndrangheta, in corso davanti alla Corte d’Assise di Torino, ha deposto ieri in aula e ha reso noto durante il dibattimento, dove sarebbero sepolti i fratelli Antonio e Antonino Stefanelli e Franco Mancuso, uccisi nel 1997 a Volpiano, un centro industriale del Basso Canavese, a quasi venti chilometri da Torino, in regolamenti di conti tra famiglie legate alla ‘ndrangheta. «So dove sono quei tre corpi – ha detto l’imputato – . Se volete vi ci porto». All’interno dell’aula giudiziaria è calato il silenzio. «Non li ho uccisi io – ha aggiunto lo stesso Rosario Marando – , ma ho solo aiutato gli altri presenti, Rosario e Antonio Trimboli, Giuseppe Perre e Giuseppe Leuzzi, a seppellirli». Secondo il suo racconto il fratello Pasqualino aveva convinto tutti – «anche me» ha spiegato – che a uccidere l’altro fratello Francesco l’anno precedente era stato Francesco Napoli. Poi – sempre secondo quanto riferito dall’imputato in aula – il fratello avrebbe fatto contattare gli Stefanelli, che riteneva i veri responsabili dell’uccisione di Francesco, per proporgli un’alleanza contro la famiglia Napoli. «Parlo adesso – ha ancora ammesso – perché non fa più danni a nessuno». E’ stato il legale di fiducia di Marando, ha chiedere che la parola venisse data al suo assistito, per fare le importanti rivelazioni. «Il mio assistito – ha spiegato l’avvocato Wilmer Perga – non ha parlato prima perché temeva di subire ritorsioni e perché un altro suo fratello, Domenico, è stato condannato ingiustamente a trent’anni in un altro procedimento», (legato al quarto omicidio, quello dell’odontotecnico Roberto Romeo, avvenuto nel 1998, di cui sarebbe stato il mandante, ndc). Il processo si è interrotto. I carabinieri e i magistrati, accompagnati da Rosario Marando, si sono avviati nel luogo descritto dallo stesso imputato. Per trovare eschi di Volpiano, accompagnati da due guardaspalle, Francesco Mancuso e Roberto Romeo. Tutti tranne Romeo furono uccisi sul posto e i loro cadaveri fatti sparire.
Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE