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L’APPUNTAMENTO è alle 8.15 nel reparto di Malattie infettive dell’ospedale di Bisceglie, arriviamo alla spicciolata e, anche da perfetti sconosciuti, è facile “riconoscerci”: siamo quelli con i visi un po’ tirati. Nel mio turno siamo in quattro: un ragazzo e una ragazza poco più che 30enni e una donna sopra la cinquantina. Siamo i primi volontari pugliesi del vaccino anti Covid italiano Reithera che l’istituto Spallanzani sta testando nella cosiddetta “fase 2” in tutta Italia.

Lo confesso, sino ad un anno fa mai avrei immaginato di farmi iniettare un farmaco o, come in questo caso, un vaccino di cui non se ne conosce efficacia ed effetti. Ma poi è arrivato il Covid-19 che ha stravolto l’esistenza di tutti noi, ci ha obbligato ad un diverso modo di vivere, pensare, immaginare. Quello che valeva un anno fa, nella nostra testa probabilmente non vale più oggi.

Non sono mai stato un “No Vax”, ma di qui a propormi volontariamente per testare un vaccino ce ne passa. O almeno, ne passava. Ha vinto la voglia di “partecipare”, di fare parte di un processo che porterà l’Italia e il resto del mondo ad avere, a stretto giro, si spera, un’arma in più nella battaglia a quel virus che in un anno ci ha portato via parenti, amici, conoscenti. Per carità, il destino del vaccino Reithera certo non dipendeva e non dipenderà da me, non mi fossi fatto avanti io ci sarebbe stato qualcun altro al posto mio. Nessun gesto “eroico”, parola forse troppa abusata in questo periodo, solo il desiderio di dare un piccolo contributo.

E così eccoci ieri mattina in ospedale, nel reparto di Malattie infettive diretto dal dottor Sergio Carbonara, colui che assieme al suo staff sta seguendo la sperimentazione partita in tutta Italia. Dopo aver sbrigato le pratiche burocratiche (consensi, autorizzazioni, firme), il primo passo è il tampone per verificare che nessuno dei volontari sia positivo al Covid. Eseguito il test molecolare, da una saletta il personale, uno alla volta, ci accompagna in un’altra stanza dove ci vengono misurate pressione, temperatura corporea, quantità di ossigeno nel sangue. Ultimo step, il prelievo del sangue.

A questo punto tocca nuovamente attendere, prima di infilarci l’ago della siringa lo staff sanitario deve assicurarsi che l’esito del test molecolare sia negativo.

Arrivato il via libera, veniamo accompagnati al piano terra, in Terapia intensiva; nel frattempo dalla farmacia ospedaliera di Barletta sono già partite le fiale del Reithera. Ad ogni volontario viene consegnato un tesserino “di emergenza”: una carta da portare con sé per i prossimi due anni, durata della sperimentazione, che ci identifica con un numero creato in maniera random dal sistema informatico e che serve ad avvertire che stiamo “partecipando allo studio clinico RT-COv2.01 su Covid-19 con un vaccino sperimentale”. Nel caso malaugurato dovessi avere un malore improvviso, quel tesserino darà una informazione in più ai miei soccorritori.

Sono le 11.15 ed è il momento delle somministrazioni: sono il terzo, la primaria di Terapia intensiva segue le operazioni mentre un infermiere mi inietta il siero. O solo il placebo. Sì perché solamente tra due mesi, dopo essermi sottoposto tra 21 giorni anche alla seconda dose e aver analizzato i valori presenti nel mio sangue, scoprirò se ho davvero ricevuto il vaccino Reithera, se mi è stata somministrata la dose intera o solo metà oppure se mi è stato inoculato placebo. In tutta Italia i volontari sono 900 circa, al 33% non verrà dato il siero, fa parte dei protocolli della sperimentazione. Vaccino o placebo, adesso conta esserci.

Un diario e un termometro mi accompagneranno per i prossimi 60 giorni: dovrò misurare la temperatura corporea almeno due volte al giorno e annotare su un “quaderno” online eventuali sintomi: febbre, nausea, mal di testa, gonfiore, arrossamento. In Puglia i volontari del Reithera sono 60, ma oltre duemila hanno dato la loro disponibilità: “Una bella manifestazione di fiducia nei confronti della scienza – dicono dall’Asl Bat – per la quale ringraziamo tutti i volontari”. Effetto Covid.


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