Giovanni Santarsia, ex direttore sanitario Asm
2 minuti per la letturaMATERA – E’ tornato alle visite nel suo reparto, a controllare lo stato di salute dei pazienti ricoverati in nefrologia, senza dimenticare gli ultimi 15 mesi come direttore sanitario facente funzioni. Giovanni Santarsia, direttore dell’Unità operativa complessa di nefrologia, dialisi e centro regionale trapianti, ripercorre il periodo nel quale il Covid è comparso e poi si è trasformato in pandemia, con un primo bilancio: «Avrei voluto chiudere questo periodo con una situazione vaccinale più conclusiva, con un processo già completato. Non è stato possibile anche per un cambio un po’ repentino, ma va bene lo stesso. La pandemia- aggiunge – ci è piombata addosso la pandemia e abbiamo dovuto affrontare questo tsunami. Spero che chi arriva ora, riesca a rivisitare gli obiettivi dell’azienda, a riprogrammare attività come quelle chirurgiche che al Madonna delle Grazie, ospedale di primo livello, non possono mancare; un effetto dovuto allo scarso numero di anestesisti e agli spazi utilizzati per la pandemia. Al momento sotto questo profilo ci sono liste di attese importanti».
I mesi di lavoro per affrontare e adeguare la struttura alla convivenza con il Covid ha portato allo scoperto problemi già esistenti. «Venivamo da un lungo periodo in cui la Asm aveva sacrificato molto in termini di risorse umane, vuoi per problemi di bilancio, vuoi di leggi -prosegue Santarsia – la coperta era già corta e la pandemia ha provocato un massacro. Abbiamo dovuto mettere in sicurezza l’ospedale e il territorio e era tutto da costruire, dalla capacità di diagnosi al tracciamento. La sanità pubblica non fa assunzioni da anni e il personale è scarso; nelle nostre strutture in una prima fase i campioni venivano processati al S. Carlo».
La sintesi nelle sue parole è secca: «I problemi non erano molti, ma molti di più». In questi casi sono fondamentali tutti, come ha dimostrato tutto il personale sanitario e come hanno fatto i dipendenti del settore amministrativo di cui, dice Santarsia, si parla poco ma che in termini di generosità è stato incredibile. La prova è in un episodio che ricorda: «Cercavamo disperatamente reagenti per fare diagnostica e una azienda di Padova li aveva ma non poteva mandarceli. Ho mandato un nostro autista a prenderli lì, in Veneto».
Dalla prima alla terza ondata la pressione è aumentata progressivamente: «La prima fase ci ha fatto stravolgere i reparti e il personale che ha il massimo merito per tutto quello che è stato fatto». Difficile, anche fuori dalla rianimazione, non farsi coinvolgere da storie, volti e vicende: «Avrei voluto dare ancora più risposte ai colleghi, per affrontare alcune situazioni – ammette aggiungendo – Ho voluto tornare in corsia per dare una mano ai miei collaboratori che in questi 15 mesi hanno vissuto una situazione difficilissima. Per questo sono felice di essere tornato al mio lavoro. La direzione sanitaria è stata un contributo vissuto solo come una parentesi per tornare a fare il medico in corsia»
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