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Il presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi

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E niente. Più provano a stringerlo fasciandolo nella camicia di forza delle loro bandierine, più lui se le fa scivolare addosso ripetendo impassibile il suo mantra: fare bene le cose, spendere bene i soldi della Ue, vaccinare il più alto numero possibile di italiani. È ben strano il rapporto tra Mario Draghi e le forze politiche – tante e al loro interno assai composite – che formano la maggioranza. Strano, ma obbligato. E specifico. In che senso? Ecco.

La prima cosa da dire è che palazzo Chigi non è il festival di Sanremo. Chi immagina il presidente del Consiglio nei panni dei Maneskin (absit iniuria verbis) sempre lì pronto a dire zitti e buoni ai partiti, disegna caricature invece che rappresentare la realtà. I partiti devono eccome avere le loro bandierine da sventolare e guai se non fosse così, se cioè l’appoggio all’esecutivo di larghe intese che deve tirar fuori il Paese dalla crisi sanitaria, economica e sociale significasse raggrupparsi in un informe indistinto: todos caballeros e tanti saluti.

Secondo. Ne discende che il vero problema, l’errore da evitare, è quello che lo stesso premier ha espresso in maniera piana nella conferenza stampa a seguito del varo del decreto Sostegni. E cioè che quelle bandierine non devono essere inalberate e garrire nel cielo fino al punto di oscurare la priorità che mette insieme Lega e Pd, M5S e Renzi passando per Forza Italia, Cambiamo e altri: garantire un adeguato sostegno all’azione del capo del governo senza che gli interessi singoli prevalgano su quello generale. Della serie: bandiere sì, ma issate a tre quarti, non di più.

Il terzo elemento si può mutuare dall’espressione usata dal neo segretario del Pd, Enrico Letta, per spiegare cosa deve essere il partito di centrosinistra che ha in mente: non una sorta di Protezione Civile 2.0, “costretta” a intervenire per rimuovere le macerie di altri e per ciò stesso “condannata” a stare al governo.

Neppure Draghi lo è. Neppure lui è la Protezione civile che deve rimettere in equilibrio il gioco politico o le istituzioni pencolanti. SuperMario è stato chiamato da Sergio Mattarella con l’obiettivo di imboccare un percorso di sanificazione del sistema dopo che le forze politiche sono entrate in un vicolo cieco. Dopo che maggioranze di opposto colore si erano avvicendate senza risollevare l’Italia e anzi avendo dovuto fronteggiare la pandemia più grave del dopoguerra con qualche, diciamo così, confusione di troppo.

Sbaglia chi considera Draghi il demiurgo che tutto risolverà per il fatto stesso di esserci. Il presidente del Consiglio farà il suo dovere e laddove dovesse sbagliare dovrà essere aiutato a rimettersi in carreggiata. Ma ciò non toglie che i partiti dovranno farsi carico della loro parte di responsabilità senza furbescamente e surrettiziamente provare a scaricarle sull’ex presidente della Bce.

Il nodo dunque non è implorare Draghi perché strappi di mano ai vari leader le loro bandierine. La politica non muore sotto il tallone del Presidente del consiglio: sarebbe esiziale. Diventerebbe un boomerang che non solo si ritorcerebbe contro di lui ma invece di aiutare a sanarle amplificherebbe le difficoltà di riprendersi del sistema-Paese. La cosa davvero importante è che non ci si impantani in un gioco a incastri, nella nostalgia dell’avversario (nemico non dovrebbe proprio esistere in un sistema democratico) da battere, anzi annichilire.

I profili identitari sono connaturati con la presenza e l’agire dei partiti. Se vengono meno, il pantano non viene prosciugato: al contrario si allarga. Valga per tutti la traiettoria dei Cinquestelle, partiti per rovesciare il sistema, per far diventare il Parlamento e la democrazia rappresentativa un corollario del palingenetico apriscatole-vendicatore, e in corso d’opera trasformatisi in due-tre anni in un movimento che il sistema intende sorreggerlo e rafforzarlo, abbandonando il berretto rivoluzionario a favore della grisaglia liberale. Ma proprio questi cambiamenti, che riguardano non solo i grillini ma tutti i più importanti contenitori politici, dalla Lega al Pd a FI, testimoniano quanto sia strutturale la sfida da affrontare. Draghi può accompagnare lo sforzo, ma non può né deve sostituirsi ai partiti. Non è il suo compito, nessuno deve chiederglielo. Così come i partiti, indipendentemente dal fatto che stiano in maggioranza o all’opposizione, non possono esimersi dall’obbligo di contribuire a far sì che il sistema-Paese possa rimettersi in equilibrio. In caso contrario non arriverà la Protezione civile ma il default.


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