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POTENZA – «Scusate, avessimo sbagliato». Lo strafalcione è voluto per rendere appieno il senso di quanto accaduto nell’ultima seduta dell’Ordine dei giornalisti della Basilicata. Ed è il classico caso in cui la pezza è peggiore del buco. 
LE ACCUSE
Chi si ricorda la censura inflitta al cronista del Quotidiano?La sua colpa era quella di aver pubblicato il nome di una 19enne sequestrata dal suo ex ragazzo; quello di un 24enne suicida dopo che aveva lasciato il suo testamento su facebook e nessuno lo aveva degnato nemmeno di un commento; più un’intercettazione tratta dall’inchiesta sul disastro di Fenice in cui l’allora dg dell’Arpab a fronte della richiesta di un funzionario dell’ente (identificato in atti) gli prometteva non meglio precisate ricompense in cambio di sostegno elettorale per il candidato indicato dall’ex assessore all’ambiente. Accusa? Violazione della privacy, benché per i primi due articoli mancassero esposti dei diretti interessati o dei loro familiari. Ma ora non più, perché «in regime di autotutela» a quattro giorni dal termine concesso all’interessato per proporre ricorso al Consiglio nazionale la “buon costume” dell’informazione regionale ha deciso di fare marcia indietro su quest’ultima contestazione. 
LA RETTIFICA
Assomiglia da vicino a un’autocensura quella deliberata mercoledì scorso all’unanimità ancorché a scrutinio segreto dal collegio giudicante composto dal presidente Domenico Sammartino, il vice Emilio Salierno, il segretario Donato Pace, i consiglieri Salvatore Cardone, Nuccia Nicoletti e Gianluigi Laguardia. Al centro c’è la delibera approvata sempre all’unanimità ma a voto palese lo scorso 23 febbraio dallo stesso collegio anche se in composizione leggermente diversa (al posto di Nicoletti e Laguardia erano presenti Antonella Ciervo e Celeste Rago) che ha stabilito la sanzione della censura per il giornalista del Quotidiano Leo Amato. Chi scrive quest’articolo. L’accusato. 
LA SANZIONE
Che significa in concreto? Stando all’ordinamento della professione di Montanelli si tratta «del biasimo formale» per la trasgressioni deontologiche accertate, «da infliggersi nei casi di abusi o mancanze di grave entità». Per quelle meno gravi c’è l’ammonimento, mentre per quelle che abbiano «compromesso la dignità professionale» si passa alla sospensione e alla radiazione dall’albo. 
LA GIUSTIFICAZIONE
Ma cos’è successo? Difficile a dirsi a leggere la comunicazione appena notificata all’interessato, cioé il sottoscritto, anche se è facile da immaginare. Il testo è lungo e contorto, un unico periodo di 19 righe perciò tocca prendere fiato. Pronti? «Considerato che il dispositivo della predetta delibera del 23 febbraio contiene riferimenti errati ad alcuni degli articoli contestati (in relazione a titolo e data) e che in particolare per quanto concerne le intercettazioni segnalate a questo Consiglio dallo studio legale **** in materia di violazione della privacy ***** “assolutamente non coinvolta nei fatti di cronaca, né nelle relative indagini giudiziali”, il riferimento riguardava due articoli, uno pubblicato in data 22 ottobre 2011 (“Io mantengo sempre le mie promesse”) e uno pubblicato in data 23 ottobre 2011 (“La candidata è l’ospedale: Per Angelo è tutto a posto”), essendo stati rilevati elementi inerenti la violazione della privacy di persona non risultante sottoposta a indagini al momento della pubblicazione della nota pubblicata il 23 ottobre 2011 (“La candidata e l’ospedale: Per Angelo è tutto a posto”), essendo stato quest’ultimo articolo non citato, per mero errore di trascrizione nella delibera di apertura del procedimento disciplinare e nella successiva delibera di adozione di sanzione ritenendo che tale errore materiale abbia potuto inficiare la pienezza del diritto alla difesa del giornalista incolpato a tutela di questo stesso diritto e in regime di autotutela si ritiene di non dover procedere in merito alla contestazione relativa alle pubblicazioni del 22 ottobre del 2011 (“Io mantengo sempre le mie promesse”) e del 23 ottobre 2011 (“La candidata è l’ospedale: Per Angelo è tutto a posto”)».
L’ALTRA INTERCETTAZIONE
In altre parole: non intendevamo punirlo per quello per cui l’abbiamo punito, ovvero l’intercettazione nell’ufficio dell’ex dg dell’Arpab in cui si parla di voti in cambio di non meglio precisate ricompense. L’idea era di punirlo sì, ma per un’altra cosa di cui però ci siamo dimenticati. Sempre un’intercettazione, ma tra l’ex dg dell’Arpab Vincenzo Sigillito e il suo grande amico nonché referente politico e amministrativo, l’ex assessore all’ambiente Erminio Restaino, in cui parlano dello stesso funzionario in sua assenza, a proposito dei voti che avrebbe potuto portare alla loro “corrente” all’interno del Pd se si fosse candidato, grazie all’influenza di persona vicina. Qui la violazione della sfera della privacy di quel funzionario si sarebbe sostanziata nell’indicazione da parte dell’autore dell’articolo (cioé sempre il sottoscritto, ndr) della professione di quella persona influente e dei suoi attuali rapporti con il primo. Ma poiché gli riconosciamo che non poteva difendersi in maniera adeguata se non sapeva nemmeno di cos’era realmente accusato – questo devono aver pensato i consiglieri dell’ordine della Basilicata – allora tanto vale che lo “graziamo”. In conclusione: la censura rimane tale e quale, senza nemmeno uno sconticino, ma soltanto per due capi d’accusa che evidentemente nel frattempo devono essere diventati abbastanza gravi per giustificarla anche da soli. E che dire di più? Quanta clemenza!
DIRITTO PENALE E CIVILE
Dal momento che la delibera in questione sostituisce a tutti gli effetti la prima i termini per proporre ricorso davanti al Consiglio nazionale sono pertanto slittati all’inizio di maggio. Sarà quindi in quella sede che si tornerà a discutere del caso: gli articoli “incriminati”; e un procedimento nato storto, ormai per ammissione dei suoi stessi genitori. Infatti, tra le questioni sul tavolo non c’è soltanto il rispetto del diritto di difesa che andrebbe sempre garantito a chi è chiamato a rispondere di un addebito del genere, assicurandogli per esempio accesso pieno agli atti delle “inchiestine” effettuate nei suoi confronti. Se si pensa che la contestazione originale comprendeva quattro articoli lungo un periodo di un anno e sette mesi di tempo ed era arrivata soltanto otto mesi dopo l’ultimo  dei quattro sembra essercene abbastanza anche per discutere della tempestività dell’azione disciplinare in questione, un principio di derivazione di quello della generale buona fede che dovrebbe caratterizzare i rapporti tra l’ordine e i suoi “ordinati”. E a nulla può valere che la delibera già rettificata una volta affermi che «in materia disciplinare non possono trovare applicazione istituti propri del diritto penale». Quello della buona fede è un principio inscritto nel diritto civile. Basta chiederlo a una matricola di giurisprudenza. A un professore meglio di no, perché potrebbe averne a male. 

 

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