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Titolo ad una sola riga
Catenaccio light per primo piano da non modificare – CATEGORICO
di LEO AMATO
POTENZA – Nel progetto approvato si parla sempre dei soliti 104mila barili al giorno di petrolio. Ma anche Eni ha ammesso di essersi portata avanti con il lavoro perciò alla fine il Centro olii di Viggiano sarà in grado di lavorarne subito 130mila. Nonostante l’aumento delle estrazioni in Val d’Agri sia ancora in discussione. Con un risparmio di spesa considerevole sul costo totale dell’intervento, che da 260milioni sarebbe potuto lievitare un bel po’. Possibile che in Regione non ne sapessero nulla? Certo che sì, anche se una serie di elementi lasciano pensare il contrario. Non ultimo il fatto che la società della moglie di chi ha approvato quei lavori, il direttore regionale all’ambiente Donato Viggiano, abbia avuto un ruolo nella loro progettazione. Ma che in Eni si siano avventurati in un investimento del genere senza delle garanzie, davvero no. Questo è difficile da immaginare. Anche perché è da almeno due anni che da Roma, da San Donato Milanese e persino dai palazzi della giunta di via Verrastro si annunciano quei 26mila barili in più e tutti i benefici che porteranno per la Basilicata. 
IL BIDONE E L’AFFARE
Per la signora Grazia Panetta in Viggiano, l’insegnante di matematica di Pisticci proiettata all’improvviso nel mondo delle commesse della compagnia del cane a sei zampe, il Centro olii della Val d’Agri per poco non si sarebbe rivelato un bidone. Almeno così sostiene suo marito Donato, che la scorsa settimana ha replicato alla prima puntata dell’ultima inchiesta sul petrolio del Quotidiano della Basilicata. Per Eni, invece, più che di un bidone bisognerebbe parlare di un affare, pari a quanto porteranno nelle sue casse 26mila barili al giorno di petrolio in più senza il bisogno di sostenere altre spese per l’ampliamento dell’impianto. 
IL DOCUMENTO
A svelare la reale natura delle opere autorizzate come «ammodernamento e miglioramento delle performance produttive» dello stabilimento di Viggiano è un documento dell’Eni reperibile anche online che il Quotidiano ha consultato con attenzione. Si tratta del “Local report 2012: Eni in Basilicata” che dedica una pagina intera ai programmi di sviluppo in Val d’Agri. 
IL PROGETTO
Le fasi individuate sono due. La prima si intitola «progetto di ammodernamento e miglioramento delle performance produttive», proprio come la delibera della giunta regionale del 4 maggio del 2011 che dà giudizio favorevole di compatibilità ambientale al progetto e all’aggiornamento dell’autorizzazione rilasciata appena due mesi prima. Mentre la seconda si intitola «progetto di sviluppo sostenibile in Val d’Agri», e prevede una serie di interventi di «mitigazione ambientale (…) crescita occupazionale e dell’imprenditoria locale». Tutto subordinato a «un nuovo accordo» per cui «Eni ha avviato con la Regione Basilicata la negoziazione», che permetterebbe «la realizzazione di nuovi pozzi produttori», da allacciare all’impianto attraverso una nuova rete di raccolta «con un aumento di circa 15 chilometri rispetto ai circa 100 esistenti», e da ultimo il «potenziamento del Cova (Centro oli Val d’Agri) fino a 129mila barili/giorno di greggio».  
FASE 1 E FASE 2 
Fin qui tutto normale se non che leggendo più sotto, dove vengono spiegati nel dettaglio costi e ricadute delle azioni da portare a termine nell’ambito della seconda fase, Eni spiega che «una parte di queste azioni di miglioramento è stata effettuata in occasione della fermata generale del Cova iniziata a maggio 2011 e durata 23 giorni in cui sono state realizzate le attività di manutenzione ordinaria e straordinaria necessarie ad apportare le relative modifiche allo sviluppo dello stesso. La fermata – prosegue ancora il report – ha coinvolto circa 1.200 persone per un periodo effettivo di 23 giorni raggiungendo l’obiettivo prefissato di zero incidenti e infortuni durante lo svolgimento delle attività stesse». 
COPIA E INCOLLA
Parole e punteggiatura sono identiche a quelle riportate in chiusura del paragrafo dedicato alla prima fase intitolato «progetto di ammodernamento e miglioramento delle performance produttive». Un caso? Forse. Per chi ci vuole credere. Se invece si ha il pallino della matematica si può provare a fare due conti sui numeri contenuti nelle autorizzazioni. 
GAS ACIDO
Oggi la capacità nominale di trattamento dell’impianto è di 104mila barili al giorno di greggio (quelli previsti dagli accordi del 1998 tra Eni e Regione), e 3milioni e centomila metri cubi di «gas associato» (il report Eni 2012 sostiene 500mila in più nonostante le autorizzazioni in proposito parlino chiaro). Ma poiché si è scoperto che i giacimenti della Val d’Agri avevano una componente gassosa acida maggiore del previsto – e per di più in aumento col passare del tempo – il via libera ambientale del Ministero nel ‘99 ha limitato per sicurezza il ritmo della produzione a 83mila barili di petrolio e 2milioni e 700mila metri cubi di gas, fissando un rapporto di 1 a 32.
INDICI A CONFRONTO 
Alla fine dei lavori di «ammodernamento e miglioramento delle performance produttive» l’impianto potrà quindi raggiungere la fatidica soglia dei 104mila, ma a ben vedere la sua capacità di lavorazione del «gas associato» sarà schizzata a 4milioni e 600mila. Si dirà che si è deciso di andare a prendere il più acido dei petroli acidi della Val d’Agri. Anche se verrebbe da chiedersi il perché. Per gioco, però, qualcuno potrebbe decidere di vedere comunque quanti barili si potrebbero lavorare con la nuova capacità di trattamento dell’impianto fermo restando il rapporto con i metri cubi di «gas associato» che c’è adesso, cioé 1 a 32. Il risultato fa 141mila barili al giorno. Persino di più dei 26mila che la Regione Basilicata o quantomeno il suo presidente Pd Vito De Filippo sembra disposto a concedere in cambio del fondo per «le infrastrutture e l’occupazione», previsto l’anno scorso dall’articolo 16 del dl liberalizzazioni del governo Monti, per cui ancora si attende un regolamento attuativo. Un fondo da alimentare con una maggiore quota di partecipazione al gettito fiscale delle estrazioni nello spirito del “memorandum” siglato nel 2011 con l’allora sottosegretario Pdl Guido Viceconte. «Infrastrutture» e «occupazione». Ancora una volta le stesse parole che si ritrovano nel paragrafo sulla fase 2 del programma di sviluppo della Val d’Agri contenuto nel report 2012 dell’Eni.  
IL COMITATO
Insomma i numeri sono numeri, eppure con un po’ di abilità si possono tirare dove fa più comodo. Solo che in Regione nessuno sembra averci badato troppo. Basta leggere il verbale del Comitato tecnico regionale ambiente del 18 aprile del 2011 che ha espresso parere favorevole all’«ammodernamento» proposto dall’Eni. Come relatore sul progetto è stato sentito un consulente esterno dell’ufficio compatibilità ambientale. Un ingegnere precario, Giuseppe Manzi, assunto a tempo determinato a maggio dell’anno prima, tanto per capirsi, perciò in scadenza di contratto. A quella data la Provincia di Potenza aveva già espresso parere favorevole e il Comune di Viggiano un sostanziale “silenzio assenso”. 
L’INGEGNERE PRECARIO
L’ingegnere precario avrebbe relazionato sui 4milioni 600mila metri cubi di «gas associato» che la costruzione di una quinta linea dell’impianto avrebbe consentito di trattare. Poi sui lavori da effettuare sulla quarta linea olii che avrebbero portato la capacità di lavorazione del greggio a 104mila barili al giorno, e non uno di più. Proprio la stessa linea su cui si sarebbero esercitati di lì a qualche settimana i soci della moglie del direttore Viggiano, chiamati a effettuare dei rilievi ingegneristici da un’azienda da tempo nell’orbita dell’Eni, il gruppo Cosmi della famiglia Resca, che esprime anche un membro nel consiglio di amministrazione guidato da Giuseppe Recchi e da Paolo Scaroni. Solo una commessa da «326mila euro» su un programma di lavori per 250 milioni, ha tenuto a precisare al Quotidiano Viggiano, già direttore del centro di ricerche Enea della Trisaia di Rotondella oltreché docente di energetica applicata della facoltà di ingegneria dell’Unibas, considerato tra i maggiori esperti nel suo settore tanto da meritarsi la nomina come supermanager esterno della Regione (dopo quella da assessore alla cultura bruciata in una notte non appena De Filippo è stato rieletto nel 2010). 
LA FIRMA
C’era anche lui il 18 aprile del 2011 a quella seduta del Comitato tecnico regionale ambiente. E sotto a dove è scritto «valutato il progetto in questione per quanto riportato nella documentazione allegata all’istanza di Via conforme agli strumenti di pianificazione e programmazione vigenti» c’è la sua firma. Avrebbe potuto delegare ad altri. D’altronde era trascorso già quasi un anno da quando la signora era entrata in società con quell’«amico imprenditore» a sua volta da tempo nell’orbita dell’Eni, e un altro misterioso personaggio, che in passato risulta residente nei paraggi del quartier generale della compagnia del cane a sei zampe. Ma così non è stato. 
Tanto alla fine, in mezzo a tutti questi barili, ci sarebbe scappato soltanto un bidone, no? E proprio per lei. Questo però è difficile che all’epoca lui potesse già prevederlo.

POTENZA – Nel progetto approvato si parla sempre dei soliti 104mila barili al giorno di petrolio. Ma anche Eni ha ammesso di essersi portata avanti con il lavoro perciò alla fine il Centro olii di Viggiano sarà in grado di lavorarne subito 130mila. Nonostante l’aumento delle estrazioni in Val d’Agri sia ancora in discussione. Con un risparmio di spesa considerevole sul costo totale dell’intervento, che da 260milioni sarebbe potuto lievitare un bel po’. Possibile che in Regione non ne sapessero nulla? Certo che sì, anche se una serie di elementi lasciano pensare il contrario. Non ultimo il fatto che la società della moglie di chi ha approvato quei lavori, il direttore regionale all’ambiente Donato Viggiano, abbia avuto un ruolo nella loro progettazione. Ma che in Eni si siano avventurati in un investimento del genere senza delle garanzie, davvero no. Questo è difficile da immaginare. Anche perché è da almeno due anni che da Roma, da San Donato Milanese e persino dai palazzi della giunta di via Verrastro si annunciano quei 26mila barili in più e tutti i benefici che porteranno per la Basilicata. 

 

IL BIDONE E L’AFFARE – Per la signora Grazia Panetta in Viggiano, l’insegnante di matematica di Pisticci proiettata all’improvviso nel mondo delle commesse della compagnia del cane a sei zampe, il Centro olii della Val d’Agri per poco non si sarebbe rivelato un bidone. Almeno così sostiene suo marito Donato, che la scorsa settimana ha replicato alla prima puntata dell’ultima inchiesta sul petrolio del Quotidiano della Basilicata. Per Eni, invece, più che di un bidone bisognerebbe parlare di un affare, pari a quanto porteranno nelle sue casse 26mila barili al giorno di petrolio in più senza il bisogno di sostenere altre spese per l’ampliamento dell’impianto. 

IL DOCUMENTO – A svelare la reale natura delle opere autorizzate come «ammodernamento e miglioramento delle performance produttive» dello stabilimento di Viggiano è un documento dell’Eni reperibile anche online che il Quotidiano ha consultato con attenzione. Si tratta del “Local report 2012: Eni in Basilicata” che dedica una pagina intera ai programmi di sviluppo in Val d’Agri. 

IL PROGETTO – Le fasi individuate sono due. La prima si intitola «progetto di ammodernamento e miglioramento delle performance produttive», proprio come la delibera della giunta regionale del 4 maggio del 2011 che dà giudizio favorevole di compatibilità ambientale al progetto e all’aggiornamento dell’autorizzazione rilasciata appena due mesi prima. Mentre la seconda si intitola «progetto di sviluppo sostenibile in Val d’Agri», e prevede una serie di interventi di «mitigazione ambientale (…) crescita occupazionale e dell’imprenditoria locale». Tutto subordinato a «un nuovo accordo» per cui «Eni ha avviato con la Regione Basilicata la negoziazione», che permetterebbe «la realizzazione di nuovi pozzi produttori», da allacciare all’impianto attraverso una nuova rete di raccolta «con un aumento di circa 15 chilometri rispetto ai circa 100 esistenti», e da ultimo il «potenziamento del Cova (Centro oli Val d’Agri) fino a 129mila barili/giorno di greggio».  

FASE 1 E FASE 2 – Fin qui tutto normale se non che leggendo più sotto, dove vengono spiegati nel dettaglio costi e ricadute delle azioni da portare a termine nell’ambito della seconda fase, Eni spiega che «una parte di queste azioni di miglioramento è stata effettuata in occasione della fermata generale del Cova iniziata a maggio 2011 e durata 23 giorni in cui sono state realizzate le attività di manutenzione ordinaria e straordinaria necessarie ad apportare le relative modifiche allo sviluppo dello stesso. La fermata – prosegue ancora il report – ha coinvolto circa 1.200 persone per un periodo effettivo di 23 giorni raggiungendo l’obiettivo prefissato di zero incidenti e infortuni durante lo svolgimento delle attività stesse». 

COPIA E INCOLLA – Parole e punteggiatura sono identiche a quelle riportate in chiusura del paragrafo dedicato alla prima fase intitolato «progetto di ammodernamento e miglioramento delle performance produttive». Un caso? Forse. Per chi ci vuole credere. Se invece si ha il pallino della matematica si può provare a fare due conti sui numeri contenuti nelle autorizzazioni. 

GAS ACIDO – Oggi la capacità nominale di trattamento dell’impianto è di 104mila barili al giorno di greggio (quelli previsti dagli accordi del 1998 tra Eni e Regione), e 3milioni e centomila metri cubi di «gas associato» (il report Eni 2012 sostiene 500mila in più nonostante le autorizzazioni in proposito parlino chiaro). Ma poiché si è scoperto che i giacimenti della Val d’Agri avevano una componente gassosa acida maggiore del previsto – e per di più in aumento col passare del tempo – il via libera ambientale del Ministero nel ‘99 ha limitato per sicurezza il ritmo della produzione a 83mila barili di petrolio e 2milioni e 700mila metri cubi di gas, fissando un rapporto di 1 a 32.

INDICI A CONFRONTO – Alla fine dei lavori di «ammodernamento e miglioramento delle performance produttive» l’impianto potrà quindi raggiungere la fatidica soglia dei 104mila, ma a ben vedere la sua capacità di lavorazione del «gas associato» sarà schizzata a 4milioni e 600mila. Si dirà che si è deciso di andare a prendere il più acido dei petroli acidi della Val d’Agri. Anche se verrebbe da chiedersi il perché. Per gioco, però, qualcuno potrebbe decidere di vedere comunque quanti barili si potrebbero lavorare con la nuova capacità di trattamento dell’impianto fermo restando il rapporto con i metri cubi di «gas associato» che c’è adesso, cioé 1 a 32. Il risultato fa 141mila barili al giorno. Persino di più dei 26mila che la Regione Basilicata o quantomeno il suo presidente Pd Vito De Filippo sembra disposto a concedere in cambio del fondo per «le infrastrutture e l’occupazione», previsto l’anno scorso dall’articolo 16 del dl liberalizzazioni del governo Monti, per cui ancora si attende un regolamento attuativo. Un fondo da alimentare con una maggiore quota di partecipazione al gettito fiscale delle estrazioni nello spirito del “memorandum” siglato nel 2011 con l’allora sottosegretario Pdl Guido Viceconte. «Infrastrutture» e «occupazione». Ancora una volta le stesse parole che si ritrovano nel paragrafo sulla fase 2 del programma di sviluppo della Val d’Agri contenuto nel report 2012 dell’Eni.  

IL COMITATO – Insomma i numeri sono numeri, eppure con un po’ di abilità si possono tirare dove fa più comodo. Solo che in Regione nessuno sembra averci badato troppo. Basta leggere il verbale del Comitato tecnico regionale ambiente del 18 aprile del 2011 che ha espresso parere favorevole all’«ammodernamento» proposto dall’Eni. Come relatore sul progetto è stato sentito un consulente esterno dell’ufficio compatibilità ambientale. Un ingegnere precario, Giuseppe Manzi, assunto a tempo determinato a maggio dell’anno prima, tanto per capirsi, perciò in scadenza di contratto. A quella data la Provincia di Potenza aveva già espresso parere favorevole e il Comune di Viggiano un sostanziale “silenzio assenso”. 

L’INGEGNERE PRECARIO – L’ingegnere precario avrebbe relazionato sui 4milioni 600mila metri cubi di «gas associato» che la costruzione di una quinta linea dell’impianto avrebbe consentito di trattare. Poi sui lavori da effettuare sulla quarta linea olii che avrebbero portato la capacità di lavorazione del greggio a 104mila barili al giorno, e non uno di più. Proprio la stessa linea su cui si sarebbero esercitati di lì a qualche settimana i soci della moglie del direttore Viggiano, chiamati a effettuare dei rilievi ingegneristici da un’azienda da tempo nell’orbita dell’Eni, il gruppo Cosmi della famiglia Resca, che esprime anche un membro nel consiglio di amministrazione guidato da Giuseppe Recchi e da Paolo Scaroni. Solo una commessa da «326mila euro» su un programma di lavori per 250 milioni, ha tenuto a precisare al Quotidiano Viggiano, già direttore del centro di ricerche Enea della Trisaia di Rotondella oltreché docente di energetica applicata della facoltà di ingegneria dell’Unibas, considerato tra i maggiori esperti nel suo settore tanto da meritarsi la nomina come supermanager esterno della Regione (dopo quella da assessore alla cultura bruciata in una notte non appena De Filippo è stato rieletto nel 2010). 

LA FIRMA – C’era anche lui il 18 aprile del 2011 a quella seduta del Comitato tecnico regionale ambiente. E sotto a dove è scritto «valutato il progetto in questione per quanto riportato nella documentazione allegata all’istanza di Via conforme agli strumenti di pianificazione e programmazione vigenti» c’è la sua firma. Avrebbe potuto delegare ad altri. D’altronde era trascorso già quasi un anno da quando la signora era entrata in società con quell’«amico imprenditore» a sua volta da tempo nell’orbita dell’Eni, e un altro misterioso personaggio, che in passato risulta residente nei paraggi del quartier generale della compagnia del cane a sei zampe. Ma così non è stato. Tanto alla fine, in mezzo a tutti questi barili, ci sarebbe scappato soltanto un bidone, no? E proprio per lei. Questo però è difficile che all’epoca lui potesse già prevederlo.

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